Un mese fa lessi un post, in cui uno dei miei "amici" facebookiani rimproverava l'uso eccessivo della lingua inglese nel vivere quotidiano ed invitava tutti a "pensare italiano".
Non nascondo di aver sorriso e non poco di fronte a questa accorata "difesa" del pensiero nostrano, soprattutto perché conosco il rapporto conflittuale del soggetto con l'inglese, ma nello stesso tempo il suo appello mi ha indotta a pormi una serie di interrogativi che hanno aumentato il mio status di confusa e...infelice.
Innanzitutto, non mi è molto chiaro cosa voglia intendersi per "pensare italiano", considerando che persino il Made in Italy non appartiene più, se non per sporadiche eccezioni (tipo "uno su 1000 forse ce la fa!") a ciò che un tempo era vanto per il nostro Bel Paese. Soffermiamoci un minuto su questo punto. Come si fa ad etichettare un prodotto con il celeberrimo Made in Italy se le materie prime provengono dalla Nuova Zelanda o dall'India e la manodopera (sfruttata e sottopagata) si alterna tra il Bangladesh e la Cina, dove non esistono di certo sindacati che propongono di scioperare nel week end per allungare il ponte settimanale?
Certo, qualcuno potrebbe obiettare con un indignato: "ma il design è italiano!!!". Ne siete proprio certi? Perché se nelle rinomate pizzerie dalla lunga tradizione partenopea è possibile incontrare come pizzaioli Abdoul o Jamal, non vedo perché escludere la possibilità di avere come direttore creativo Tarik, il turco. Seppur le direttive di produzione o di progettazione rispetteranno i diktat italiani, dubito fortemente che un prodotto o un brand resti privo di contaminazioni culturali e sociali o, più semplicemente, non venga conformato alle regole della convenienza economica. Welcome to Globalization!
Proseguo con il secondo quesito. Quando entriamo in un MacDonald's per consumare un hamburger, o dal cinese dietro l'angolo perché sbaviamo su un involtino primavera, oppure, ancora, quando cerchiamo di fare i fighi tessendo le lodi del maki in un sushi bar, NOI stiamo pensando in italiano?!?
Terzo dubbio. La cavalcata al populismo più becero attraverso lo slogan "STOP Invasioni" oppure il gingle "AIUTIAMOLI a casa Loro" dovrebbero forse rendermi fiera di "pensare italiano"? Non so a voi, ma in me cresce il disagio nell'accettare che questa fiera dell'imbecillità rappresenti il MIO pensiero.
Son sempre stata quel genere di persona che ha amato le risalite controcorrente. Scritta così, fa meno impressione di rompiballe, vero? Purtroppo, avevo (ed ho) grosse difficoltà nel seguire quei filoni che inesorabilmente inducono a sopprimere la propria individualità. Promuovo a spada tratta il libero pensiero; non importa se diverso e contorto dal mio purché non scada nell'offesa e nell'insulto. Mi ritengo fortunata perché dotata di libero arbitrio, con cui prendo le distanze da concetti ed idee fin troppo "omogeneizzate" dalla massa e riconosco altresì i miei limiti nelle libertà altrui.
Pertanto, rifiuto di "pensare italiano" se ciò significa essere il primo Paese in Europa per corruzione percepita, secondo quanto riporta il recente rapporto di Transparency 2014, l'organizzazione internazionale che si occupa di analizzare appunto il livello di corruzione in 175 Paesi nel mondo. Estendendo il panorama a livello generale, da una scala da zero (gravemente corrotto) a 100 (assolutamente pulito), l'Italia guadagna un range di 43 punti, significativo del fatto che non raggiunge neanche la sufficienza.
Rifiuto nuovamente di "pensare italiano" quando la meritocrazia (ahhhh, questa sconosciuta!) viene costantemente ignorata a favore del "mi manda...". Ho un principio di orticaria quando buona parte del Paese campa ancora di assistenzialismo e si nasconde dietro "lo Stato non esiste", perché così il consenso popolare è garantito, gli applausi scoccano e gli striscioni s'innalzano al cielo, mentre torna piuttosto arduo giungere all'unica conclusione possibile, ovvero che lo Stato siamo NOI.
Mi stringe il cuore quando l'ostinato "pensare italiano" coincide spesso con il rinnegare le proprie origini o il proprio passato da emigrante emarginato, deriso e per questo discriminato. Prima che Madonna ci rendesse orgogliosi con quel "Italians do it better", circolava, e non escludo che qualche nostalgico residuo persista ancora, il famoso "Italians, spaghetti, mafia and mandolino". La nostra memoria, negli ultimi tempi, è sempre più labile ed inaffidabile. Siamo tanti piccoli pesci rossi che nuotano e roteano nella loro piccola bolla di vetro convinti che oltre quel vetro ci sia il nulla.
Continuo pertanto a riproporre la stessa questione: esattamente, cosa significa "pensare italiano"? Forse, non accorgersi affatto del gran privilegio di vivere in un Paese che detiene uno dei più grandi patrimoni artistici-culturali-ambientali che tutto il mondo ci invidia. Forse, il pensiero italico consiste proprio nel lasciare che l'incuria più profonda deturpi, ammuffisca, incrini ciascun tesoro d'arte di cui l'Italia è ricca. Ma sì, concediamo pure all'ignoranza l'occasione di privarci della possibilità di arricchire, valorizzare e difendere tale eredità culturale ed accogliamo con sommo giubilo i lucchetti, i graffiti e le incisioni varie che puntualmente caratterizzano ogni monumento, ogni affresco, ogni gioiello che la storia ci ha tramandato. Siamo in prima linea nell'urlare e denunciare i disastri idrogeologici che progressivamente stanno modificando i profili costieri e montani delle nostre città. Siamo sempre davanti a tutti nell'additare ed addossare responsabilità ben precise. Ma chissà perché finiamo nelle ultime file, o addirittura ci dileguiamo, quando si tratta di far qualcosa di concreto.
Eppure, nonostante il nostro modo di pensare sia talvolta a metà strada tra il semplice ed il complesso e ci conduca spesso a delle rilevanti ed, in alcuni casi, imbarazzanti contraddizioni, tanto da farci sorridere piuttosto che indignarci, ci va riconosciuta la capacità di dimenticare ogni amarezza, ogni malumore ed ogni ansia davanti ad un caffè o un piatto di lasagne.
Siamo dei "bamboccioni"? Assolutamente sì! "Perché la famiglia diventa contemporaneamente un albergo, un ristorante, una banca, un asilo ed uno ospizio. Gli americani vanno in analisi, mentre noi proviamo a guardarci negli occhi, parlando ai nostri genitori o ai nostri figli" (Beppe Severgnini).
Se proprio devo pensare italiano, voglio farlo dedicando un pensiero quotidiano a chi in passato è morto affinché possa godermi la mia libertà presente e futura. Libertà di esprimere la mia opinione senza sentirmi per questo oppressa o perseguitata. Libertà di scegliere o non scegliere, di decidere o non decidere; libertà di preferire la pizza a pranzo piuttosto che la sera; libertà di manifestare le proprie idee o di contestarle, ma soprattutto di tollerare e rispettare chi la pensa diversamente da me. Perché, noi italiani siam bravi a sopportarci!
Libertà di professare la fede cristiana ma allo stesso tempo lasciar spazio alla mia curiosità nel cercare nuove risposte in religioni diverse, per poi scoprire che non esistono sostanziali differenze fra un credo e l'altro e poco importa se Dio è un Babbo Natale vestito di bianco, un albero gigantesco, un serafico gigante dall'aria buona o un profeta col turbante.
Fondamentalmente, immagino l'Italia come una vecchia signora col trucco sfatto ed i vestiti in disordine; una di quelle che si acconcia il ricciolo ribelle dietro l'orecchio con estrema eleganza; una signora che, malgrado le toppe vistose sull'abito, emana classe e che nonostante tutto troverà sempre la forza di sorridere "ai giudizi degli altri", perché dopotutto..... LEI SE NE FREGA!
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