Oggi proverò a raccontarvi una storia un po’ diversa dal solito.
Una storia il cui protagonista è un uomo normale come tanti; uno abituato a
lottare da molto tempo contro i suoi mille demoni interni.
Vi
racconterò come, all’improvviso, in un
giorno come tanti, il suo cuore ed
il suo spirito son tornati a vivere, scoprendosi in pace, malgrado attorno a sé ci
fossero solo guerra e devastazione.
Lo so: vi sembrerà assurdo, ma se riuscirete a comprendere, ad intravedere o
anche solo ad immaginare, l’istante in cui una persona qualunque possa trasformarsi in una persona speciale, allora
probabilmente a questo mondo non sarà così anomalo sperare in un futuro migliore.
Fatemi un
favore, però, non pensate a Francesco come ad un eroe, altrimenti se la prende con me!
Ma
partiamo con ordine. Lui, l’antieroe,
è un tipo schivo, riservato, dall’aria a volte un po’ troppo tormentata.
Intuite da voi come tali elementi rappresentino per quasi la totalità del sesso
femminile requisiti indispensabili per soccombere all’immagine del classico bello, dannato ed impossibile. Eh sì,
perché Francesco ha il suo fascino latino ma è anche dotato di un garbo da gentleman,
ormai quasi del tutto scomparso, che lo porta spesso a declinare inviti e
proposte non propriamente velate.
La nostra amicizia è nata quasi per
caso. Ci siam persi e ritrovati molte volte e non saprei davvero dire da quanto
tempo ci conosciamo, perché a volte mi sembra che sia da sempre, altre
volte da ieri. Sin
da subito ho riscontrato un’affinità; forse, perché entrambi,
professionalmente, nasciamo come markettari (uh, ora storcerà il naso!) o
perché, presumibilmente, siamo due fottuti idealisti senza speranze.
Una
sera come tante, Francesco si aprì e non so bene se lo fece per necessità o
perché ero la persona giusta in quel momento. Ascoltai le sue confidenze
private, avvertii quella fastidiosa sensazione di fallimento che arriva dopo
ogni delusione personale e percepii la sua inquietudine. Lo ascoltai in
silenzio e a disagio. Sì, quel disagio tipico che mi attraversa ogniqualvolta
qualcuno mi lascia entrare nella sua vita, anche se la porta è volutamente
aperta affinché io la oltrepassi. E’ da quell’incontro così intimo e personale
che iniziai ad apprezzarlo. Francesco non è un uomo che nasconde le sue
debolezze ed i suoi limiti, anzi ne è perfettamente consapevole. E così si è
guadagnato tutto il mio rispetto.
Tuttavia,
il suo lungo peregrinare, alla ricerca di un luogo dove sentirsi finalmente se
stesso, segue mete lontane: Los Angeles, Miami, Bordeaux, poi
ancora Miami. A causa dei continui spostamenti, credo che Francesco
abbia contribuito senz’alcun dubbio alla fortuna del suo agente di viaggio.
Però,
ovunque andasse, i suoi tormenti non l’abbandonavano mai. Ogni posto aumentava
il suo malessere; la sensazione di soffocare diventava giorno dopo giorno più
tangibile ed i suoi demoni interiori si dedicavano al loro passatempo preferito: torturargli e graffiargli l'anima, già parecchio malconcia. Ed è in
questa lenta discesa verso l’oscurità che inizia a pensare alla parola fine....a come spegnere le emozioni e la sofferenza,
divenuta un bagaglio insostenibile, a come raggiungere quella pace finale
da ultimo capolinea. Purtroppo (o
per fortuna), il coraggio e la determinazione
s’incrinano.
Quasi senza accorgersene, pronuncia quella
frase:”Vengo anch’io”. L’amico lo guarda incredulo ma ugualmente
entusiasta e colmo di gratitudine per quel gesto volontario.
Quando gli chiesi –“Perché hai deciso di partire?”, la sua risposta fu piuttosto disarmante, come ogni verità nuda e cruda – “Potrei dirti per altruismo, per sentirmi utile verso chi ne aveva bisogno, ma la realtà fu ben diversa. Sono partito con l’incoscienza di chi vuol buttarsi nella mischia di una guerriglia e sperare che un cecchino finisca ciò che io non ho iniziato”.
Quando gli chiesi –“Perché hai deciso di partire?”, la sua risposta fu piuttosto disarmante, come ogni verità nuda e cruda – “Potrei dirti per altruismo, per sentirmi utile verso chi ne aveva bisogno, ma la realtà fu ben diversa. Sono partito con l’incoscienza di chi vuol buttarsi nella mischia di una guerriglia e sperare che un cecchino finisca ciò che io non ho iniziato”.
Incoscienza,
egoismo, vigliaccheria? Chissà... Francesco giunge a Gaza nel momento peggiore del conflitto tra Israele ed Hamas:
più di cento attacchi aerei, effettuati senz’alcun preavviso e che impediscono
per tempo l’evacuazione dei civili e rasano indistintamente al suolo
abitazioni, scuole ed edifici governativi. Più di centomila sfollati, la cui
metà comprende solo bambini (Amnesty International).
Di colpo,
nel caos e delirio generale, le motivazioni iniziali di Francesco perdono
consistenza. Si butta anima e corpo nell’azione di volontariato, cercando di
allontanare il senso di impotenza che lo affligge costantemente nel dover
assistere a vere e proprie ingiustizie, specie nei confronti dei bambini,
spesso solo vittime inermi di una guerra
folle tra grandi.
“La rabbia
che ho in fondo all’anima è tanta, troppa...e consolare con gli occhi iniettati
di sangue non fa di me un volontario pacifista credibile. La gente continua a
morire sotto i miei occhi. L’embargo economico contro la Palestina non fa che
aumentare lo stato di povertà e ridurre al minimo le speranze per una possibile
ricostruzione”.
E la sua rabbia
la percepisci in ogni singola parola: è sottile, strisciante e si confonde con
il dolore e la consapevolezza di far molto ma non abbastanza – “anche se adesso sento di avere uno scopo nella vita, a volte mi
sento stanco. E’ come se versassi acqua nell’oceano ma col contagocce”.
Già. Mi sembra quasi di avvertirla la sua frustrazione.
La guerra tra Israele e Palestina è una tragedia che si trascina da ben 67 anni. Lo ripeto: 67 anni! L’orrore e la sopraffazione di una guerra che nessuno ricorda più li ritrovi negli occhi tristi e nei volti spenti dei sopravvissuti, gli stessi che amaramente rassegnati non credono più a parole come speranza, futuro e pace. Le emozioni si mescolano, si agitano, si disperdono e non è per niente facile restare umani quando l’ombra della morte vaga tra le macerie ed i cadaveri, tra l’isolamento di un intero popolo sofferente e la determinazione di chi ancora oggi, nonostante tutto, porta avanti un quotidiano (fa strano definirlo tale) fatto solo di bombe, polvere e sangue.
E Francesco è lì.
In mezzo a
quel vivere quotidiano. In mezzo ai ragazzi di Ramallah che tutti i giorni non
rinunciano a camminare tra le fogne per quasi 4 km pur di raggiungere la propria scuola.
In mezzo alle tende ed ai container del campo profughi ad ascoltare il dolore e
a fare i conti con l’inferno circostante. Francesco è sempre lì a dar prova
della sua resistenza
pacifica, anche se
l’istinto di ribellarsi diventa a volte insostenibile.
Come
quella volta che vide un bimbo di otto anni afferrato per ragioni futili da due
militari israeliani. Il terrore negli occhi di quella creatura fu la goccia che
fece traboccare il vaso....e vacillare la sua pazienza. Nel tentativo di
difendere e proteggere un gruppo di piccoli studenti dall’ennesimo arresto
illegittimo, Francesco si becca una pallottola. “Cazzo, che male!”, mi confida
ricordando l’episodio. “Ho pensato di voler tornare di corsa a casa.
Poi all’improvviso, ho avuto come un’illuminazione. Man mano che mi
ristabilivo, mi soffermavo sempre più ad osservare i bambini attorno a me. I
loro sorrisi, la loro forza, la loro infinita tenerezza mi hanno rapito il
cuore. E così mi son reso conto che non ero io ad aiutarli, ma erano loro gli
artefici della mia guarigione. E non mi riferisco alla ferita fisica ma a
quella dell’anima”.
“Rifaresti
tutto daccapo?” – “Sì, senz’alcuna esitazione.
Tornerei indietro per difendere anche quell’unica ragazzina che non sono
riuscito a trarre in salvo”. Un velo di tristezza e rimpianto lo avvolge – “Ma non sono invincibile e quel proiettile me lo ha ricordato
dolorosamente”.
“Cos’è
cambiato da quel giorno?” – “Mi hanno proibito di uscire da
solo!”. Sorride divertito –“Dicono che faccio l’italiano in
cerca di guai. Esco solo se accompagnato dagli altri volontari per distribuire
i viveri o con l’interprete arabo, visto che non riesco ad imparare uno
straccio di parola!”.
Forse è così che si diventa più forti. Francesco si è lasciato alle spalle il proprio inferno, per attraversarne un altro più doloroso, spogliandosi delle proprie fragilità ed appoggiandosi a chi un sorriso non glielo ha mai negato, neppure in un letto di ospedale. E attraverso quelle anime innocenti, violate e deturpate da un odio senza ragione e senza nome, è riuscito a scorgere un barlume di entusiasmo e a nutrire nuovamente amore per la vita.
Ciascun bambino di Gaza, ciascun ragazzo incrociato, ha saputo trasmettergli nuova energia ed altrettanta forza. Ha ascoltato i loro sogni (perché questi non muoiono mai!) ed ha compreso come la cultura e lo studio siano le loro uniche forme di salvezza affinché sia possibile sconfiggere in un futuro (si spera) non troppo lontano tutto il male che li sovrasta.
D’altronde,
il più grande insegnamento di Nelson
Mandela è
racchiuso in: “l’educazione è l’arma più potente che si può usare per
cambiare il mondo”.
Questa è
la normalità
che rende liberi ed è la
stessa con cui Francesco si confronta giorno dopo giorno, settimana dopo
settimana, mese dopo mese.
Ha
finalmente trovato il suo
posto nel mondo.
“....è come se mi avessero rapito, costringendomi in passato a
vivere una vita che non sentivo mia, che non mi apparteneva. Adesso, sento di essere tornato a casa...”.
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