“Perché, perché la domenica mi lasci
sempre sola per andare a vedere la partita di pallone…Perché…u-u-una volta non
ci porti pure me?!?”.
Ahhh, mia cara Rita Pavone, sapessi
quanti palloni son trascorsi da questo tuo ritornello un tantino piagnucolante,
ammettiamolo.
Ora, non solo le donne non attendono più a casa, sole e
sconsolate, che il proprio compagno rientri dallo stadio, ma acquistano un
biglietto, vanno in curva (sud o nord, ha poca importanza), sfoderano bandiere
e sciarpe ed intonano cori al pari del loro alter ego maschile.
Maschiacci!
Chissà quante volte saranno state etichettate così, eh?
Ma ancor peggio dev’esser andata quando
con grinta e determinazione, e perché no?, anche con un pizzico di passione,
alcune giovani donne hanno deciso di prendere un pallone, palleggiare e tirare in porta, magari pure realizzando un goal, talmente "ganzo" da far rosicare i
“puristi” (maschi) di questo sport.
Se per un bambino iniziare a praticare
questa disciplina sportiva è quasi un obbligo, per una bambina il discorso
si complica e molti nasi iniziano a storcersi.😒
Ebbene sì, il calcio, più di altri
sport, è territorio indiscusso del “macho man” per eccellenza, e poco si presta, secondo l’immaginario collettivo, ad essere associato alla figura femminile soprattutto in
versione calzoncini, parastinchi e tacchetti.
Eppure scegliere di essere una
calciatrice non significa solo seguire una passione ed un ideale sportivo,
spesso diventa per molte protagoniste una rivendicazione di diritti negati, una
vera e propria lotta per l’uguaglianza.
Nel 1933 il CONI interdì i campi da
gioco alle donne. La motivazione? Cito testualmente: “il pallone è pericoloso per il loro aspetto estetico e riproduttivo”. Ok. Confesso che dinnanzi ad un’affermazione così aberrante, il mio primo istinto è
stato quello di prodigarmi in una sonora risata che ha ampiamente surclassato
il mio moto di indignazione.
“Aspetto
estetico e riproduttivo”… come dimenticare del resto quanto la propaganda
fascista abbia lavorato alacremente per instillare nelle menti dell’epoca
questo patriarcale ed arcaico concetto della donna “moglie, madre, casalinga”.
In quegli anni giocare di nascosto da padri, mariti e fidanzati divenne la
norma.
Cinquantatré anni dopo (1986), la FIGC
(Federazione Italiana Gioco Calcio) decide di inglobare il calcio femminile ma a tale
riconoscimento non corrisponde un equo trattamento per le
calciatrici rispetto ai loro colleghi maschi.
Un esempio su tutti: le atlete di
serie A o le partecipanti alla Champion’s League sono considerate dalla
Federazione delle “dilettanti”.😲
Mugugnare e disapprovare ciò è un nostro sacrosanto diritto!
Quando poi ci si sposta al Sud, la
differenza tra maschi e femmine diventa più nitida, quasi tangibile, forte
anche di retaggi e pregiudizi che resistono malgrado il
mondo sia proiettato al futuro. Già, un futuro tecnologico ma non culturale.
La promozione e diffusione di una cultura paritaria
sono solo alcuni dei molteplici aspetti che favorirebbero lo sviluppo economico e
sociale di un Sud troppo spesso “terra di assenze e mai di presenze”.
E ciò non
fa che mortificare le tante eccellenze del territorio che a fatica e con non
pochi ostacoli cercano un proprio posto nel mondo.
E’ il caso dell’ASD Sporting
Locri, squadra rivelazione di serie A calcio a cinque femminile, (unica in
Calabria) che, dopo sei anni di traguardi e grandi soddisfazioni sul
palcoscenico nazionale, ha dovuto chiudere e sospendere ogni attività a seguito di minacce e ritorsioni
alle proprie giocatrici. Avvertimenti in stile mafioso contro un
hobby, una passione sportiva.
Come potremo mai pensare di crescere ed evolverci
laddove si consenta a certi “quaquaraquà” di colpire ed umiliare delle atlete,
la cui unica “colpa” è quella di giocare a calcio?
Urge una sana e consapevole rivoluzione culturale che spazzi via una volta
per tutte l’insano tabù che i tacchetti siano “per soli uomini”.
Il Sud, in particolar modo la Calabria, avrebbe un disperato bisogno di realtà positive come l’ASD Sporting Locri.
C'è bisogno di ragazze, fimmine, vittoriose che sradichino questi preconcetti errati, un po’ come si fa con la gramigna.
La nostra terra, ed in un'ottica più generale, l'Italia, deve nutrirsi di
passioni realizzate e di sogni avverati, meglio ancora se femminili, perché
dietro la loro emancipazione passa sempre una storia di lotta, caparbietà e
spirito vincente.
La strada è lunga e tortuosa. Dopotutto, nel corso della storia, nulla a noi, donne, è stato concesso con facilità. Spesso si son sacrificati affetti ed ingoiati rospi grandi quanto dei cinghiali, solo per veder riconosciuto l'appannaggio di una parità di genere.
Ad ogni modo, a Rita Pavone preferisco 10, 100, 1000 volte Jovanotti ed il suo bellissimo mantra: "io penso positivo perché son vivo, perché son vivo... e niente e nessuno al mondo potrà fermare quest'onda che va, quest'onda che viene e va...".
Oh, lo so 😏 che state canticchiando con me il buon caro Lorenzo. Continuate, continuate pure. L'onda non si arresterà. Essa è vitale e dirompente proprio come la piccola
rivoluzione che si sta delineando all'orizzonte .
Pertanto dalle società sportive moderne ci si attende d'ora in poi l'attuazione di due operazioni, complementari l'una con l'altra, ossia a) un consistente investimento in un settore che, già, mostra elevati margini di crescita con ottimi rendimenti economici; e b) la promozione e diffusione di campagne di marketing mirate che “educhino” al rispetto ed
alle pari opportunità tra squadre femminili e squadre maschili, proprio come
avviene all’estero, dove questo tipo di realtà rappresentano delle vere e
proprie frontiere dell’avanguardia femminista.
👋Bye bye, Rita Pavone... vai ed insegna alle gatte morte come si prepara una buona pappa al pomodoro!😘
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