3 gen 2018

Quella volta che...

             

         

#Quellavoltache il mio NO non fu ascoltato e rispettato. #METOO .

Lo scrissi su Twitter qualche mese fa. 

Il mio tweet improvvisamente  si aggiunse ad un migliaio di altri tweet. Tutti raccontavano un vissuto, un'esperienza non facile, una storia simile a molte altre, che denotava dolorosamente come una consuetudine fisica e verbale, si sia sviluppata, nostro malgrado, nel corso dei secoli e si sia altrettanto cristallizzata poi nelle forme più disparate.
Il sistema patriarcale, sotto il quale le donne son state obbligate fino all'altro giorno a vivere, con le sue regole tacite ma socialmente tollerate, inaspettatamente è stato travolto da uno tsunami dalle proporzioni bibliche, il cui effetto immediato è stato quello di riportare a galla il lerciume di cui un'intera società si nutre.
Un tornado che ha instillato una sensazione di ripugnanza talmente tangibile da non poterla occultare, giustificare o ignorare.
Ed è a questo punto che è iniziato il teatrino dei cori indignati, accompagnati dall'immancabile retorica sulla condanna incondizionata. 
Et voilà, con il suo abito migliore, l'ipocrisia è andata in scena.

Un NO non ascoltato, non rispettato.
Ne parlo non per ottenere consensi o "popolarità", accusa più volte ascoltata dai soliti moralizzatori da bar dello sport. Trovo alquanto singolare (per non dire patetico) il nesso logico che in molti hanno individuato tra "successo" ed una dichiarazione di molestia e/o violenza sessuale.
Ditemi un po'. Essere esposte alla gogna pubblica, sopportare i molti "se l'è cercata", o i troppi "era ubriaca", "aveva la minigonna", "vestiva all'occidentale" o ingoiare i vergognosi "ha goduto, signora?", rappresentano forse una scorciatoia per scalare i vertici esattamente di quale fama e gloria?
Seriamente, ci siete o ci fate?!?

Molti dei tweet con l'hashtag #quellavoltache o #metoo non sono stati scritti per ottenere una qualche forma di giustizia tardiva in tribunale, ma nascono per denunciare un fenomeno di cui numerose donne quotidianamente, e negli ambiti più disparati, ne sono vittime e quindi offrir loro l'appoggio necessario per incoraggiarle affinché pongano fine all'inferno interiore in cui si son rifugiate.

Per me, si è trattato di una ricerca di libertà che per molto tempo ho volontariamente ingabbiato, fingendo di non provare quelle sofferenze che per un motivo o per un altro riaffioravano ripetutamente nella mia memoria.
Trovo lo spunto ora di parlarne, perché ogniqualvolta la cronaca scoperchia il vaso di Pandora, è un ritorno al passato, in un luogo oscuro ed angosciante, in una prigione che ho sapientemente costruito nel silenzio più assoluto.


E' un rivivere un'esperienza dolorosa. E' l'acutizzarsi di una ferita che difficilmente si rimargina e che mi crea non poche difficoltà nel portarla alla luce.
E' come fare un salto in un'altra dimensione, in un'altra me stessa, in una stanza di cui distinguo ancora gli odori, malgrado siano trascorsi anni. Ricordo la sistemazione dei mobili, la luce che filtrava dalle persiane abbassate, il caldo di un pomeriggio estivo, i rumori del traffico non lontano.
E riascolto quel No, inizialmente sommesso e poi via via, più forte, più deciso.
Avverto la paura che mi alienò da quel luogo, da quel momento, da quel senso di vergogna che si adagiò accanto al dolore, mentre la speranza mi coccolava, mi accarezzava e mi sussurrava:"va tutto bene. Shhh... ora passa... ora finisce tutto... shhh...".

Ho impiegato giorni, mesi, anni... Una somma di molti anni per comprendere che quel NO privo di attenzione è da ritenersi a tutti gli effetti una violenza e basta, senza doverla inglobare per forza in altre definizioni o etichette. 

Si assiste fin troppo spesso a questo assurdo meccanismo di sminuire una manata sul culo o di liquidare una frase inopportuna con una risatina, seguita da: "era una battuta...". O peggio ancora nel partorire commenti del tipo: "bastava un calcio nelle palle e il porco era ko". Già, un calcio agli attributi è sempre la soluzione più ovvia. 
Ma di ovvio e scontato in simili esperienze non c'è nulla. E ahimè, lo so bene.
Nessuno. Ripeto, NESSUNO può a priori conoscere la reazione migliore che occorre adottare in tali circostanze. Non esiste uguaglianza in ciò.
Certe osservazioni, fatte con il culo al sicuro e sfruttando una connessione wifi, lasciano il tempo che trovano.

La mente di una donna molestata, violentata, umiliata, non lavora lucidamente sia durante e sia dopo. Fate lo sforzo di non dimenticarlo la prossima volta che siete tentati di sparare giudizi a caso su situazioni delicate e che richiederebbero invece solo un minimo di empatia in più.

Uno sforzo di egual misura sarebbe apprezzabilissimo laddove la si piantasse di smembrare morbosamente ogni vicenda, ogni dettaglio, ogni termine, al solo scopo di razionalizzare l'atto molesto e violento, a seconda di un'arbitraria tipologia A o B.

Altrettanto odioso è l'asserire: "ha agito come un animale", poiché nulla è più falso di una simile affermazione.
Nel regno animale ogni legame, ogni azione, ogni atto sessuale, è perlopiù sottoposto alle regole generali della natura.
Le dinamiche gerarchiche che guidano i maschi alpha a fecondare le femmine mirano ad un duplice obiettivo: i primi si assicurano il prosieguo della specie; le seconde invece si accaparrano i geni migliori, accuratamente selezionati in base alle abilità sul territorio.
L'unica sottomissione riconosciuta nel mondo animale avviene tra maschi, al fine di dimostrare la dominanza nel gruppo.
Come sostiene la mia amica Silvia, alla quale devo molto per questo piccolo ma esaustivo contributo scientifico: "Gli animali non sono buoni, cattivi, assassini, violenti, pedofili, antipatici, brutti, ecc.
Gli animali agiscono per istintoper assicurare che i propri geni vengano trasmessi alle generazioni successive. Lottano per la sopravvivenza, seguono la loro dieta, attuano i loro rituali di corteggiamento ed infine si occupano di allevare la prole".

Gli animali agiscono per istinto.
Noi, uomini, fino a prova contraria, dovremmo agire attraverso il raziocinio, ovvero la facoltà di usare la ragione, un dettaglio (non di poco conto) che dovrebbe differenziarci dalle altre specie animali.
Differenziarci... che col senno di poi evidenzia invece come non significhi renderci migliori.

Forse dopo la lettura di questo articolo arriveranno gli attestati di solidarietà, gli attoniti "perché non me l'hai mai detto?", gli abbracci silenziosi ma tardivi. Prima di apparire ingrata, sappiate che non ho bisogno di tutto ciò. Seppur con qualche difficoltà, ora so come affrontare i miei demoni.
Tuttavia, la vostra empatia, la vostra sensibilità, potreste dedicarla verso chi ancora oggi, nonostante lo sgretolamento di quel muro dietro cui molte vittime si nascondono, c'è chi ancora soffre in silenzio, chi giorno dopo giorno è isolata, chi sceglie la vergogna al coraggio e rifiuta di essere aiutata, chi è semplicemente prigioniera delle proprie fragilità.

Ecco. E' per loro che invoco la vostra solidarietà concreta e non "like" su un social network.
Rimuoviamo dalle nostre vite quel gretto "victim blaming" che ci spinge a ritenere una donna NON come vittima di violenza, ma ad additarla, a colpevolizzarla, come soggetto consenziente solo perché ha scelto di vivere LIBERA nella società moderna.
Agiamo quasi (anzi leviamo il "quasi") come dispensatori di lezioni morali, rimproverando ad una donna così le scelte fatte: "vedi che succede se metti i tacchi e la minigonna?"; "vedi cosa accade se esci sola la sera?"; "dovresti trovarti un marito invece di divertirti con chicchessia!"...e via via via.

E' da qui che si dipana il ricatto maschilista. E' attraverso l'impiego sistematico del potere sulla libertà che si creano le basi per piegare la donna ad ogni sorta di abuso, quale quello sessuale, psicologico ed economico.


NON SIAMO TUTTE UGUALI.
Non tutte riusciamo a vivere senza collezionare rimpianti o a sfuggire ad un dolore più grande della volontà di sconfiggerlo.
A volte si può credere che quando qualcosa va per il verso giusto, allora niente diventa impossibile. E quando invece si verifica il contrario, difficilmente la sofferenza si trasforma in esperienza per il futuro.
Ogni volta che si tocca il fondo, quello più profondo ed oscuro, ci si trova a dover raccogliere qualcosa.
Ecco allora che quel "qualcosa" diviene una sorta di talismano da custodire gelosamente lungo la risalita. Quel qualcosa sarà l'amuleto con cui proteggersi per preservare il proprio equilibrio.

Già... P R O T E G G E R S I.
Proteggersi da se stessi e dalle scelte sbagliate, quelle medesime scelte che ti guidano verso il silenzio e verso la triste consapevolezza di aver contribuito col tempo ad altri NO inascoltati.


  

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