“Bello...Bello e impossibile
con gli occhi
neri e il tuo sapor
mediorientale...
Bello...Bello e invincibile
con gli occhi neri
e la tua bocca da
baciare…”
Sono diversi giorni che
canticchio questo refrain di Gianna Nannini, da quando i miei occhi sono stati
letteralmente catturati dall’immagine di un volto maschile che etichettare bello è veramente un eufemismo, ma
definire impossibile l’uomo, il cui
volto appartiene, è quanto mai appropriato.
Sarete naturalmente informati circa la singolare
avventura, capitata qualche settimana fa a tre uomini di nazionalità araba, i
quali sono stati letteralmente espulsi dalla polizia religiosa dell’Arabia
Saudita perché ritenuti “troppo affascinati da indurre in tentazione le donne”.
I fatti risalgono ai primi di aprile, ma la notizia è rimbalzata solo di
recente da un capo all’altro del mondo, suscitando un po’ di stupore, commenti
variegati ed anche una considerevole curiosità.
Non
appena appresi la news via radio, sorridendo, pensai - E che saranno mai?!-. Sono italiana e come tale abituata all’oggettivamente bello. Da millenni ci
riteniamo, a rigor di logica, amanti di ciò che rientra nella suddetta
definizione: in fondo, cresciamo, ci nutriamo, viviamo da attenti cultori
dell’estetica. Il nostro stesso Paese ci fornisce quotidianamente l’esempio più
lampante del tanto blasonato made in
Italy, sia attraverso lo storico patrimonio architettonico, troppo spesso
da noi non adeguatamente valorizzato, e sia attraverso la schiera di personaggi
illustri che hanno notoriamente esportato la cultura del Bel Paese in vari campi, da quello prettamente cinematografico a
quello della moda, dell’arte, del design ecc. ecc. Inoltre, non siamo certo
sprovvisti di fascino maschile, visto che, nei secoli dei secoli, i miei
connazionali vengono indicati per varie ragioni come gli uomini più affascinanti
e seducenti: Italians do it better, mica
l’ho coniato io!
Questo
fu lo spirito con cui di lì a poco avrei visionato la foto di uno dei tre arabi
“irresistibili”. Alla faccia del
bicarbonato di sodio! Sguardo penetrante, labbra carnose, un’ombra di
barba, carnagione olivastra ed un sorriso maliziosamente disarmante. Eh sì, il
poeta-attore-regista-fotografo di moda Omar Borkan al Gala (questa l’identità di
uno dei tre giovanotti di Dubai)
possiede proprio tutte le caratteristiche per indurre in tentazione le donne dell’intero globo terrestre!
Tuttavia,
è quanto mai insolito, anzi prossimo all’agghiacciante, assistere nel Terzo
Millennio ancora a meccanismi di chiusura culturale così evidenti, giustificati
da una serie di apologie ideologiche e religiose, volte a preservare la virtù
delle donne, a sottrarle alle tentazioni
che una fisicità maschile può loro indurre. Né più e né meno delle medesime
pratiche e misure adottate nel Medioevo, quando l’annullamento dei più
elementari diritti umani, rivolto alla figura femminile, raggiunse l’apoteosi. Quello
che però spesso gli uomini dimenticano,
o meglio sottovalutano, è la forza spirituale
di cui ogni donna è dotata, si sommi a ciò anche l’impossibilità di impedire ad
una mente di pensare apertamente, di lottare per la propria indipendenza, di
sacrificarsi per il riconoscimento della propria libertà di vivere, esprimersi,
ed il futuro prende corpo. La storia
insegna, anche se scritta da uomini!
Ma torniamo ora al caso in
oggetto: Omar, il tentatore.
Immaginate per assurdo se ciò fosse accaduto in Italia. Avremmo dichiarato
guerra al sistema: sì, perché noi siam più pratici nel manifestare il nostro
dissenso sull’acconciatura della Carfagna piuttosto che sulla sua presunta
competenza politica. Perché da sempre preferiamo le brioches al pane. Quindi, al
via la guerriglia per bloccare l’espulsione di Belèn, Raul Bova, Monica
Bellucci e Kekko (ma si scrive così?!)
dei Modà.
E’ innegabile, a questo punto,
riconoscere l’essenza pericolosa che la bellezza non ha mai smesso di mostrare.
Ammesso ciò, esiste un particolare che più mi conduce ad ironizzare sulla
faccenda e consiste nel fatto che l’avvenenza (stavolta maschile) rappresenti
un problema, una difficoltà, un limite, una discriminazione inversa. Questo sì
che è avveniristico ...e decisamente contraddittorio con quanto afferma però un
economista americano, tale Daniel Hamermesh, secondo cui gli individui
“oggettivamente belli” guadagnino e facciano carriera più facilmente rispetto a
quelli un po’ meno “fortunati”, proponendo pertanto per quest’ultimi una sorta
d’indennizzo.
A sostegno della tesi formulata
dallo scienziato, c’è poi la storia di Margarita Aguilar, ex direttrice
esecutiva del Museo del Barrio di New York, una vera e propria esperta d’arte
latinoamericana, il cui curriculum farebbe impallidire persino Indiana Jones.
Ebbene sì, ex, poiché, la sua lunga
esperienza professionale, ricca di note di plauso, e la sua competenza nel
riorganizzare le finanze del museo, non le hanno garantito una serenità
lavorativa. Il motivo? Il suo stile alla Ugly Betty, semplice senza tanti
fronzoli, privo di una certa bellezza appariscente e sofisticata, ha fatto
arricciare il naso ad uno dei membri del consiglio di amministrazione (una
finta bionda, regina dei salotti newyorkesi), guarda caso moglie di uno dei
maggiori azionisti. La signora, infatti, non si è limitata in diverse
occasioni a ridicolizzarla in pubblico
per il suo aspetto ma ha pensato bene di darle il benservito. Dopo lo sconcerto
seguito alla decisione, adottata dal museo nei suoi confronti, Margarita-Betty,
com’era prevedibile, ha citato in giudizio l’intero consiglio di
amministrazione. L’accusa? Discriminazione.
Alexader
Pope asseriva - “La bellezza colpisce l’occhio, ma il merito conquista il
cuore”. Quanto risuonano ironiche oggi queste parole?
Ho sempre ritenuto che
fosse una prerogativa italiana quella di denigrare ed insultare uno dei valori
più importanti nella vita degli individui: la meritocrazia. Da oggi debbo
ricredermi: ci conformiamo giorno dopo giorno, divenendo sempre più omologati.
Vista poi la precarietà lavorativa in cui ci si ritrova, con un futuro già
pignorato, si è rafforzata in ognuno di noi la consapevolezza che di bello e
impossibile sia rimasto solo il lavoro.
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