Per mesi ho ampiamente
resistito alla diabolica tentazione: ho deviato, ho ignorato, ho eluso, ho
omesso. Ma a causa dell’enorme bombardamento e successivo logorio dei miei
(metaforici) zebedei, oltre al progressivo aumento del reflusso
gastrointestinale dovuto alla crescita del fenomeno, ho deciso che non posso
più esimermi dal dire la mia sull’ossessione very cool, maggiormente diffusa fra le it-girl del web: ossia, essere
una fashion blogger!
Inauguro il mio trentesimo articolo (ci credereste mai?!) con un tema che reputo di per sé spassoso, se
preso con le giuste precauzioni. Il titolo l’ho ricavato leggendo un post ironico,
pungente e sagace, in cui mi sono fortuitamente imbattuta per le mie ricerche.
Il significato riserva infatti una disarmante verità circa gli outfits improbabili e mutanti di tali
personaggi. La lettura della pagina facebook, a cui mi riferisco, (sedicenti fashion bloggers conciate come
contadine ucraine – appunto!) mi ha estremamente divertita ed entusiasmata,
specialmente dopo aver scoperto che l’autore delle variopinte recensioni è un uomo!
Ad ogni modo, inoltrandomi nei meandri rigorosamente glam dei mille universi paralleli che sorgono
a causa di questo delirio imperante, ho nutrito la speranza di stanare, o
quantomeno comprendere, le elucubrazioni che conducono una “caciottara” di provincia a trasformarsi
in una fashion blogger compulsiva.
Invece,
dopo aver a lungo osservato, sviscerato ed esaminato i siti web più trendy del
pianeta, un vero e proprio percorso tortuoso che da Instagram si snoda verso
Twitter, durante il quale ho assistito al graduale declino di concetti, quali stile, classe ed eleganza, sono giunta alla conclusione che per fregiarsi di tale
titolo è sufficiente: a) un background culturale pari a zero; b) nessun
investimento economico; c) uno spregiudicato esibizionismo.
Tre punti essenziali da cui lanciare la propria start up,
ma anche tre pericolose insidie, che promettono popolarità, invidia,
ammirazione a qualunque ragazzetta appassionata di moda. Fateci caso, son tutte
fotogeniche, o almeno così si ritengono. Scattano foto in ogni santo momento
della giornata, come se avessero una digitale incorporata tra il medio ed il
pollice: basta un click/schiocco ed eccole immortalate con l’ennesima smorfia
su un viso beffardamente etichettato "acqua e sapone". Ma de che!?!
Instagram è la loro coperta di Linus: se non posti, non esisti! Tuttavia anche Tumblr sta lentamente
acquisendo terreno, offrendo così al mondo la testimonianza di come delle goffe
ragazzine, poco avvenenti, dotate di una visione piuttosto distorta di ciò che
possa definirsi moda, si assurgano il
diritto di indicare, suggerire, proporre attraverso foto e tutorial i loro dress code da urlo, abbinamenti talmente
inverosimili da far sembrare trendy i lavavetri ai semafori.
Eppure, tra
smorfie corrucciate, make up alla Marilyn Manson, cenette a base di sushi e
cibo macrobiotico, possono ostentare orde di follower accaniti. Alla fine sorge
il dubbio su chi dei due (fashion blogger e seguaci) soffra maggiormente di
disturbi della personalità.
Credetemi: osservando anche uno solo dei fotogrammi in
rete, non riuscirete a trattenervi dal ridere. Assurde nella loro serietà
professionale, espongono, consigliano, decantano, impongono il loro credo da
fashion addict. Propongo di guardare tali tutorial nei momenti di alta
depressione premestruale. Finalmente, si avranno le prove sull’esistenza di
soggetti messi peggio di noi!
Una lancia però merita di esser spezzata per quelle
blogger con la B maiuscola, il cui buon gusto le ha salvate da una fine
miserabile, riuscendo pertanto ad emergere e a farsi notare dai grandi
stilisti, tanto da trasformare il proprio hobby in un vero e proprio mestiere,
ed incarnando così il ruolo di altere muse a cui s’ispirano le moderne ed acerbe
giovincelle. Chiara Ferragni è sicuramente una di quelle che ce l’ha fatta.
Bionda, bella presenza, postura elegante e raffinata, questa studentessa di
Cremona con il suo blog (The Blond Salad)
ha in poco tempo raggiunto traguardi di tutto rispetto. Coccolata e corteggiata
dalle firme più prestigiose, saltella da un continente all’altro, invitata,
inseguita, idolatrata manco fosse la reincarnazione di Madame Coco Chanel!
Un suo scatto registra migliaia di
visualizzazioni, attuando così una campagna di marketing per la griffe
protagonista decisamente a costo zero.
Tuttavia tra i blog in classifica spiccano a sorpresa anche
quelli redatti da uomini: segno inequivocabile di come i tempi cambino e si
evolvano. Pur presentandosi al web con meno creatività rispetto alle colleghe,
i fashion blogger maschili confermano la tendenza sempre più frequente nell’uomo
di voler curare con maggiore attenzione e rigore ogni dettaglio del proprio
guardaroba, al fine di esaltarne stile ed eleganza, tratti inconfondibili ormai
di una personalità maschile al passo coi tempi.
Mi rendo conto che l’idea di divenire la nuova Chiara
Ferragni sia allettante per molte; infatti il web è invaso da sue remote e
pallide imitazioni. Non è certo uno sforzo sovrumano immaginare queste
poverette mentre obbligano il fidanzato consenziente, munito di reflex, a
scattare un impegnativo reportage fotografico all’interno di un condominio di
periferia: penosi tentativi di ricreare atmosfere urban street. Un minuto di raccoglimento inoltre bisognerebbe concederlo
per tutte quelle meteorine precipitate nell’anonimato di provenienza, delle cui
tracce il web non riporta più nulla. Un’ulteriore riprova di quanto la
transumanza tra un social e l’altro sia stata piuttosto indolore o, peggio, ignorata.
E’ un mondo difficile: si è in bilico su una
fune penzolante. Da un lato, si vive l’esaltazione ed il godimento di quei quindici (o forse anche più) minuti di
popolarità, dall’altro, invece, si raccolgono sguardi distaccati ed occhiatine
di sufficienza da buona parte della classe giornalistica italiana. Eh, sì!
Mentre all’estero figure come i fashion blogger vengono
osannate, eletti come i nuovi artisti delle passerelle, in quanto portatori di
nuovi punti di vista, in grado di percepire, anticipare e convalidare le idee
di questo mondo estroso, in Italia la situazione muta radicalmente. Il livello
di tolleranza tra giornalisti e blogger ha le stesse proporzioni di quello che
intercorre tra romani e laziali, guelfi e ghibellini, grillini e la sottoscritta. Confesso di non averne
ben compreso le ragioni, ma un sospetto s’insinua. Tra le due categorie,
probabilmente solo i blogger ammetterebbero con candore (social media docet) di ricevere pubblicamente delle markette in piena regola da parte degli
uffici marketing delle case di moda. La vanità sarà sempre uno dei sette
peccati capitali più difficile da abbattere! Tali markette in genere includono abiti e/o accessori in omaggio, magari
non ancora commercializzati, ma che potrebbero avere il loro momento di celebrità
grazie allo sfoggio concesso dal blogger di turno.
Non è tuttavia esclusa anche
l’offerta di rilevanti ingaggi economici: d’altronde, si sa che la moda è un
po’ amore ed un po’ guerra: tutto diventa lecito pur di
accaparrarsi la presenza dei più ricercati fashion blogger ai propri eventi
mondani. Quindi, seguendo questa linea, è automatico supporre che il numero
degli agenti nel settore sia notevolmente aumentato, comportando perciò una
redistribuzione delle risorse a disposizione degli uffici marketing. Ahimè,
troppi cani che aneleranno lo stesso osso!
Mettendo da parte sospetti e sottili insinuazioni, la rivalità che intercorre tra gli uni e
gli altri potrebbe però risiedere nella constatazione, più volte espressa da alcuni
giornalisti, nel ritenere i fashion blogger delle controparti del tutto
inadeguate ad un sano e costruttivo contradditorio, poiché completamente prive
di un’adeguata preparazione culturale. Sarà pur valido per le “caciottare
ucraine” che tentano la scalata da qualunque piattaforma tecnologica, ma è altrettanto vero che non è semplice trasmettere carisma dal
web ed ottenere un tasso di penetrazione così elevato di seguaci.
Pertanto, a
mio modesto avviso, chi realizza l’impresa, dispensando in ogni post pubblicato
un pizzico di classe e di buon gusto, oltre ad una spiccata autoironia, arrivando
addirittura a conoscere personalmente Totò
& Mimmo, i cani di Stefano Gabbana, beh merita uno chapeau di proporzioni stratosferiche!
Ciò che si è un po’ smarrita, sia tra i fashion designer
che tra i fashion blogger, è l’essenza di un concetto fondamentale: ovvero che
la moda è soprattutto cultura ed arte, non solo commercio. Adoro dunque le
contaminazioni tra stili e culture differenti, perché non sono altro che un
arricchimento per la creazione di nuove identità e nuovi modi di essere. Un
tempo le collezioni erano delle vere e proprie opere d’arte: osservando invece
quelle attuali fai fatica a non paragonarle a delle sagome circensi di bassa
lega. Non c’è da stupirsi poi che il prodotto finale di esse conduca
inesorabilmente a delle sedicenti
contadine.
Non bisognerebbe mai dimenticare che la moda è altresì comunicazione: quindi, badate bene a quale
debba essere il messaggio da trasmettere ed evitate perciò di vestirvi come se
doveste partecipare ad un rave o ad un’incursione delle FARC. Incuriositevi, analizzate
e, se è il caso, documentatevi su chi storicamente ha creato moda ed eleganza.
Eviterete così di sentirvi una nota stonata all’interno
di una sinfonia perfetta o la buccia di banana alla corte di re Giorgio Armani.
Nessun commento:
Posta un commento