Se qualcuno pronuncia le parole ardore e rivalità nello stesso frangente, cosa vi viene in mente?
Da un
punto di vista maschile, l’associazione è immediata: ardore, ovvero una sessualità prorompente al limite della
ninfomania, e rivalità, se l’immaginazione
vaga tra ambite e sensuali lotte nel fango agli inevitabili paragoni tra la propria
compagna e mammà. Al contrario, da un
punto di vista squisitamente femminile, la fregatura è in quella vena romantica
che tende a far combaciare il significato dei due termini con quell’originario
e risalente all’Antica Grecia.
Pertanto, ardore
è inteso come una passionalità coinvolgente e travolgente; mentre rivalità assume più i connotati di un
antico duello cavalleresco tra gentiluomini del passato.
Comunque sia,
l’unione combinata delle due parole genera uno dei sentimenti che più appartengono
all’animo umano e che è intimamente legato a sua maestà Amore: ovvero, la
gelosia. E’ innegabile come in ogni
tempo ed in ogni cultura sia possibile scovare tracce della sua esistenza,
tanto da risultare piuttosto laborioso un suo excursus storico: equivarrebbe infatti
a risolvere l’antica questione su chi sia nato prima se l’uovo o la gallina. Quel che è certo è la sua familiarità, il suo
piacere sconfinato nel turbare la serenità di una coppia.
Infatti, a
seconda delle situazioni o del destino, per chi ama il genere fatalista, la gelosia
possiede due differenti anime, una sorta di yin
e yang, tanto da poter distinguere una sua natura bianca, comprendente in una serie di
atteggiamenti e stati umani che spesso contribuiscono a rivitalizzare un
rapporto in crisi, ed una sua natura nera,
ovvero l’esatto opposto.
Sfortunatamente, i recenti fatti di cronaca ci
hanno tristemente abituati a scenari più attinenti a quest’ultimo aspetto,
perseverando inoltre nell’errore comune di etichettarlo come una forma estrema
di gelosia. Ma l’assenza di un istinto protettivo e la facilità con cui un
piccolo sospetto sfocia inesorabilmente verso un’azione distruttiva dello
status di coppia, sgretolando qualunque sentimento ad esso legato, non
rappresentano altro che indizi pericolosi e deleteri di ciò che si fa fatica a
riconoscere a prima vista: il possesso.
E’ l’inizio
dell’inferno: partono le colpevolizzazioni al partner; il dialogo perde i
connotati della civile discussione; le piccole vendette si trasformano in
grandi vendette e divengono il pane quotidiano; i veti si moltiplicano assieme
ai dubbi sulla fedeltà altrui. Nella maggior parte dei casi, la devastante pressione
psicologica che ne consegue per i soggetti coinvolti svuota il
rapporto di ogni positività, sostituita da un pessimismo cosmico e da un’incontrollabile paura per un abbandono imminente.
Mettendo da
parte queste tinte fosche, insite in ogni essere umano, e ponendo fine alla
concezione che la gelosia sia solo ed esclusivamente un sentimento ignobile e
dai tratti aggressivi ed egoistici, in queste righe, vorrei focalizzare la mia
e la vostra attenzione su quella morsa che involontariamente attanaglia lo
stomaco e che, almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha sperimentato. In
particolare, su quella sensazione primordiale che ci porta a ritenere che il
nostro piccolo mondo venga minacciato da un estraneo; su quell’istinto che
risveglia il nostro sopito lato animalesco ed attiva un intenso desiderio di
protezione verso ciò che riteniamo ci appartenga. E’ impossibile non avvertire
o ignorare sensazioni così vivide. E qualora ciò accadesse, beh è semplice
supporre che non ci sia Amore.
Sostengo con
tutte le mie forze di non credere a coloro che affermano di non nutrire gelosia
nei confronti del proprio partner, che si prodigano nel costruire un’immagine
personale sicura ed impermeabile alle debolezze emozionali che l’essere gelosi
provoca. E’ umanamente impossibile!
Sin
dalla più tenera età, sei portato a “tutelare” ciò che consideri tuo, sia che si tratti di una persona in
carne ed ossa e sia che si tratti del tuo giocattolo preferito. E’ intuitivo:
se si ama davvero qualcuno, non si può restare indifferente davanti ad un corteggiamento poco discreto da parte di terzi
o verso un comportamento ambiguo del proprio partner.
L’aplomb (esterna) dalla verve british style, molto queen
Elizabeth, non vi salverà, specie se (internamente) vi sentite pervasi dallo
spirito bellico ed astioso di Lara Croft
circa il potenziale intruso.
Roland Barthes dichiarava: “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché
mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire
l'altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso,
di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri”.
Come socia del club “Sono
geloso. Embè?!”, devo ammettere di aver vissuto le quattro fasi e di esser
sopravvissuta a quelle aggiunte da me stessa.
Sono una gelosa anomala, in
quanto non ho mai ceduto alla tentazione di spiare sms, rubriche telefoniche o
email. Una volta ho ipotizzato con meticolosa cura un pedinamento, ma essendo
sprovvista di un trench beige e di un
borsalino in tinta, alla fine ho
rinunciato.
Provo un naturale senso di fastidio quando mi accorgo di strani
ammiccamenti rivolti al mio compagno, ma son furba e quindi, senza abbandonare
la mia proverbiale ironia, mi applico nel rimarcare
la mia presenza in maniera decisa ma non invasiva. E’ una strategia valida
a rinsaldare le difese contro la rivale
sprovveduta, a cui si sommano comportamenti ed occhiate dirette a trasmettere
un messaggio chiaro ed inequivocabile: io
ci sono!
Vi assicuro che funziona e lo sguardo appassionato e
particolarmente divertito del
partner è un’ulteriore conferma nell’aver sfruttato al meglio il proprio lato geloso, trasformando tale sentimento in linfa
vitale per il rapporto a due.
In tutta onestà, provo un certo disagio nel confrontarmi con quei
soggetti che non riescono ad affrontare le proprie fragilità ed insicurezze
amorose. Anzi, le
rifuggono e ne occultano le tracce. Quando inizia ad affiorare in noi la
consapevolezza che Lui/Lei
non potrà mai appartenerci completamente, allora la gelosia muta in energia,
in un rinnovato interesse e curiosità per il partner. Acquista un potere “afrodisiaco”, capace di riaccendere quella passione e quel desiderio
che con il tempo precipitano nel dimenticatoio di una storia un po’ datata. Ciò
accade perché abbiamo il maledetto vizio di dar tutto per scontato, soprattutto
se si tratta di Amore e suoi affini.
Uno degli aforismi che più chiarisce le molteplici dinamiche
emozionali che si celano dietro la maschera della gelosia appartiene a Paul Bourget:
“Si è
veramente guariti da una donna solo quando non si è neppure più curiosi di
sapere con chi ci ha dimentica”.
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