Estate,
vacanze, mare: questa rappresenta per me una triade perfetta. Sebbene
familiari, amici e qualche conoscente abbiano tentato in diversi modi di
deviarmi o, quantomeno, distrarmi nel proporre vacanze alternative in luoghi altrettanto
affascinanti, il risultato si è rivelato desolante. La sottoscritta infatti possiede
una straordinaria capacità di resistenza al cosiddetto buon viso a cattivo gioco.
La mia dose di entusiasmo agisce come un
elastico: tirandolo a lungo prima o poi ritorna sul grugno. Sono una
professionista nel calare un muso talmente esasperante da far crollare la
pazienza anche ad un santo. Frutto di anni ed anni di esperienza infantile.
A rigor di logica, credo che il mio DNA sia simile a quello
di una triglia: mi basta respirare il profumo di salsedine per sentirmi a casa.
Per non parlare poi di come venga letteralmente soggiogata dal suono lento o
impetuoso che le onde creano infrangendosi sul bagnasciuga. E’ una battaglia
persa in partenza tentare con location differenti:
il mare, in qualunque stagione io desideri ammirarlo, mi ipnotizza, mi rilassa,
mi seduce totalmente.
Al contrario di quanto si possa immaginare tali effetti
non svaniscono con l’arrivo dell’estate, ovvero quando le spiagge sono invase
da turisti, autoctoni ed esemplari non meglio identificati. La ragione è una
sola: rifuggo le spiagge super gettonate, caratterizzate da un alto tasso di
inquinamento acustico, perlopiù prodotto dalle mamme che urlano contro i figli,
dal milanese che alza di due toni la propria voce mentre parla al cellulare e
dall’urticante ticchettio della pallina rimbalzante da un racchettone
all’altro.
La fortuna di vivere in regioni come la mia risiede nel
disporre di vaste strisce di spiaggia dallo stile decisamente wild south beach, ove di anno in anno si
allunga l’architettura colorata dei lidi, creando una macchia uniformemente
distribuita, tale da non riuscire più a distinguere il confine tra l’uno e
l’altro. Appollaiata nel mio angolo di paradiso e riparata da un ammasso di
scogli alquanto minacciosi, ne scorgo uno ubicato ad una distanza più che
ragionevole. Gli scogli rappresentano un perfetto spartiacque in grado di
offrire visioni contrapposte, preservando in alcuni casi un ecosistema, per quanto
possibile, ancora intatto, preservandolo da località etichettate come “modaiole”.
Però, quest’anno mi andava di correre un rischio: così,
sprezzante del pericolo e di tutti gli annessi e connessi, ho deciso di
trascorrere qualche giornata al di là della barricata.
Pertanto,
dopo lunghe settimane di preparazione psicologica con me stessa, mi accingo a
percorrere la passerella di legno che costeggia l’entrata alla cosiddetta spiaggia attrezzata. Mi sento già piuttosto
sollevata nel non avvistare cartelli
all’ingresso che invitano a “perdere ogni
speranza, oh voi che entrate!”.
Con un sorriso forse esagerato, ringrazio il solerte
assistente bagnanti (meglio noto come bagnino)
per avermi indicato il lettino ed ombrellone assegnatimi. Bastava seguire con
un attento sguardo da cecchino la direzione del suo indice proteso. Da questo
momento in poi inizio a svuotare la borsa: per prima cosa, tiro fuori il telo
da mare, rigorosamente in tinta con il caftano indossato, e lo stendo a mò di
Sacra Sindone sulla sdraio; poi, è il turno del libro da leggere nei momenti di
stallo, sfoggiando un’espressione da intellettuale consumata; e per ultime, le
indispensabili cremine solari, corredate da oli ed essenze dall’aurea orientale
che promettono un’abbronzatura impeccabile quanto quella di un panzarotto alla
terza frittura. Le occhiate semi svogliate e mezze addormentate dei miei vicini
d’ombrellone mi danno manforte. Soprattutto, perché so che è arrivato quel momento
che fa tentennare un po’ tutti per una frazione di secondo. Pochi attimi
caratterizzati da una microscopica sensazione di venir sottoposti ad uno
scanner inconscio a causa di un inevitabile spogliarello, che mostrerà senz’alcuna
riserva quanto si tema o meno la famigerata prova
costume. Momenti cruciali, in cui un’ola
d’incoraggiamento tornerebbe utile, credetemi!
Tuttavia,
lanciando qualche sguardo un po’ a
destra ed un po’ a sinistra, mi accorgo che siamo uno sparuto gruppo di persone
che ciondola sotto il sole d’estate. Strano, eppure siamo in piena stagione
estiva ed ho volutamente scelto un orario consono alla gran caciara che in
genere s’instaura in luoghi come questo, ma soprattutto in barba a tutte le
raccomandazioni fatte dai dermatologi per una corretta e sana tintarella.
Non
impiego molto a realizzare che le visibili assenze dei tanti vacanzieri forestieri
e locali, che un tempo affollavano i lidi balneari, pesano come una mannaia sul
bilancio dei molti operatori del settore turistico. Un sapore di amaro in bocca
comune anche a numerose famiglie italiane che, nonostante le rinunce ed i
sacrifici, la visione per loro non cambia: il portafoglio continua a mostrarsi
scarno.
Difatti le famigliole che stazionano nei dintorni sono
veramente poche. Sono in pratica circondata da nonni infaticabili che si
prestano ad assecondare le velleità ludiche dei propri nipoti. Abbandonate
l’immagine di mocciosi intenti nel costruire originali castelli di sabbia,
muniti di secchielli, palette e formine di ogni genere. Nell’era high-tech i moderni sbarbatelli non
rinunciano ad erigere fortini fai-da-te,
anzi si affidano alla precisione architettonica ed ingegneristica dei propri tablet, kindle, i-pad e smartphone. Come potrebbero accusare la
mancanza affettiva dei rispettivi genitori quando tali arnesi suppliscono ad
una delle carenze più frequenti all’interno del nucleo familiare? Ovvero, regalano attenzione
. Persino le baby-sitter son divenute obsolete.
Con una punta di rassegnazione, decido di spostare la mia
attenzione su qualcosa di decisamente più divertente, ai limiti del comico. Da
dietro i miei occhialoni neri osservo l’entrata in scena dell’ultimo esemplare
maschile di "er mutanda". Oddio, che
sia l’ultimo è una mia personalissima speranza: d’altronde, quel ridottissimo
slip bianco, costipato su un ammasso di muscoli intervallati da dei “sobri”
tattoos che farebbero impallidire persino il rapper 50 Cent, è un oltraggio al buon gusto. Ma a quanto pare non si
pongono più limiti all’essere indecenti. E lo affermo con una punta di
tristezza mentre constato gli sguardi adoranti delle donnine presenti, che
ammirano esplicitamente le pose alla tammarreid
che er mutanda concede al suo pubblico.
Mi scappa una risata
non appena nella mia mente si ricrea una scena vista qualche giorno fa, ma
sulla mia spiaggia. Ovvero, quando un
grosso gabbiano maschio, allo scopo di attirare la femmina, iniziò a gonfiare il petto ed a girarle
attorno, come nel più classico dei rituali di corteggiamento. Fu tutta fatica
inutile, poiché prima che la femmina si
allontanasse, il maschio non riuscì a ricavare dalla stessa nient’altro che
un’occhiata di sufficienza per lo show esibito. Dubito che a er mutanda venga riservato lo stesso
trattamento a giudicare dalla proliferazione nei dintorni di alcune specie di oche
giulive, regredite allo stadio maschile. Mi spiego meglio: sostanzialmente,
si tratta della stessa sintomatologia che coglie l’uomo in presenza di una
donna dalle vistose tette (e mi fermo qui). Si diventa dei perfetti ameba.
Alla
luce di ciò, mi domando dove sia finito quel 63% di donne, intervistate da
magazine di tutto rispetto, che ammette di preferire all’uomo narcisista
l’intellettuale che non disdegna la lettura sotto l’ombrellone. Tale soggetto
pare possedere un’innata dose di estrosità tanto da renderlo una vera mosca
bianca, in grado di sorprendere ogni donna. Ok, deduco che avranno intervistato
il campione femminile sotto l’effetto di qualche acido in via sperimentale,
perché sono sprovvista di qualsiasi attenuante plausibile da poter loro
addebitare.
Di conseguenza, chiedo lumi in merito al tipo di estrosità che dovrebbe avere il tizio accanto a me, immerso
nella lettura della biografia di Del Piero. Dalla sua espressione concentrata mi
vien da pensare che forse nel libro si svela finalmente il segreto di come
riesca a comunicare con il suo uccellino!
Beh, me lo auguro, almeno così evito di immaginarmelo come il nuovo San
Francesco.
Richiedo anche un rapporto dettagliato su che genere di
fantasie potrebbe esser dotato il tizio, due ombrelloni più avanti, che divora
con interesse smoderato l’ultimo libro di Benedetta la Secca Parodi.
Sarà pur vero che l’estate è la stagione dell’eros, dove
il risveglio dei bollenti spiriti non è certo dovuto alle alte temperature meteorologiche,
ma il quadretto che ho sott’occhio è alquanto sconfortante, quasi quanto vedere
una donna indossare quelle orribili crocs
o veder spuntare sulle sue spalle quelle terrificanti bretelle in silicone
trasparente.
Il giorno volge al termine. E come accade in questi
frangenti, mi lascio catturare dalla magia che un tramonto estivo è in grado di
regalare: pennellate di colori sapientemente armonizzate che hanno il potere di
rimetterti in pace con il mondo.
Osservo i pochi villeggianti rimasti: sui loro
visi mi sembra di cogliere la stessa serenità che sento in fondo all’anima. In
fondo, accada quel che accada, anche il
sole del giorno peggiore tramonta.
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