22 dic 2014

Un'estate da...MARE!


Estate, vacanze, mare: questa rappresenta per me una triade perfetta. Sebbene familiari, amici e qualche conoscente abbiano tentato in diversi modi di deviarmi o, quantomeno, distrarmi nel proporre vacanze alternative in luoghi altrettanto affascinanti, il risultato si è rivelato desolante. La sottoscritta infatti possiede una straordinaria capacità di resistenza al cosiddetto buon viso a cattivo gioco.
La mia dose di entusiasmo agisce come un elastico: tirandolo a lungo prima o poi ritorna sul grugno. Sono una professionista nel calare un muso talmente esasperante da far crollare la pazienza anche ad un santo. Frutto di anni ed anni di esperienza infantile.

            A rigor di logica, credo che il mio DNA sia simile a quello di una triglia: mi basta respirare il profumo di salsedine per sentirmi a casa. Per non parlare poi di come venga letteralmente soggiogata dal suono lento o impetuoso che le onde creano infrangendosi sul bagnasciuga. E’ una battaglia persa in partenza tentare con location differenti: il mare, in qualunque stagione io desideri ammirarlo, mi ipnotizza, mi rilassa, mi seduce totalmente.
            Al contrario di quanto si possa immaginare tali effetti non svaniscono con l’arrivo dell’estate, ovvero quando le spiagge sono invase da turisti, autoctoni ed esemplari non meglio identificati. La ragione è una sola: rifuggo le spiagge super gettonate, caratterizzate da un alto tasso di inquinamento acustico, perlopiù prodotto dalle mamme che urlano contro i figli, dal milanese che alza di due toni la propria voce mentre parla al cellulare e dall’urticante ticchettio della pallina rimbalzante da un racchettone all’altro.

            La fortuna di vivere in regioni come la mia risiede nel disporre di vaste strisce di spiaggia dallo stile decisamente wild south beach, ove di anno in anno si allunga l’architettura colorata dei lidi, creando una macchia uniformemente distribuita, tale da non riuscire più a distinguere il confine tra l’uno e l’altro. Appollaiata nel mio angolo di paradiso e riparata da un ammasso di scogli alquanto minacciosi, ne scorgo uno ubicato ad una distanza più che ragionevole. Gli scogli rappresentano un perfetto spartiacque in grado di offrire visioni contrapposte, preservando in alcuni casi un ecosistema, per quanto possibile, ancora intatto, preservandolo da località etichettate come “modaiole”.
            Però, quest’anno mi andava di correre un rischio: così, sprezzante del pericolo e di tutti gli annessi e connessi, ho deciso di trascorrere qualche giornata al di là della barricata.

Pertanto, dopo lunghe settimane di preparazione psicologica con me stessa, mi accingo a percorrere la passerella di legno che costeggia l’entrata alla cosiddetta spiaggia attrezzata. Mi sento già piuttosto sollevata nel non avvistare cartelli all’ingresso che invitano a “perdere ogni speranza, oh voi che entrate!”.


            Con un sorriso forse esagerato, ringrazio il solerte assistente bagnanti (meglio noto come bagnino) per avermi indicato il lettino ed ombrellone assegnatimi. Bastava seguire con un attento sguardo da cecchino la direzione del suo indice proteso. Da questo momento in poi inizio a svuotare la borsa: per prima cosa, tiro fuori il telo da mare, rigorosamente in tinta con il caftano indossato, e lo stendo a mò di Sacra Sindone sulla sdraio; poi, è il turno del libro da leggere nei momenti di stallo, sfoggiando un’espressione da intellettuale consumata; e per ultime, le indispensabili cremine solari, corredate da oli ed essenze dall’aurea orientale che promettono un’abbronzatura impeccabile quanto quella di un panzarotto alla terza frittura. Le occhiate semi svogliate e mezze addormentate dei miei vicini d’ombrellone mi danno manforte. Soprattutto, perché so che è arrivato quel momento che fa tentennare un po’ tutti per una frazione di secondo. Pochi attimi caratterizzati da una microscopica sensazione di venir sottoposti ad uno scanner inconscio a causa di un inevitabile spogliarello, che mostrerà senz’alcuna riserva quanto si tema o meno la famigerata prova costume. Momenti cruciali, in cui un’ola d’incoraggiamento tornerebbe utile, credetemi!

Tuttavia,  lanciando qualche sguardo un po’ a destra ed un po’ a sinistra, mi accorgo che siamo uno sparuto gruppo di persone che ciondola sotto il sole d’estate. Strano, eppure siamo in piena stagione estiva ed ho volutamente scelto un orario consono alla gran caciara che in genere s’instaura in luoghi come questo, ma soprattutto in barba a tutte le raccomandazioni fatte dai dermatologi per una corretta e sana tintarella.
Non impiego molto a realizzare che le visibili assenze dei tanti vacanzieri forestieri e locali, che un tempo affollavano i lidi balneari, pesano come una mannaia sul bilancio dei molti operatori del settore turistico. Un sapore di amaro in bocca comune anche a numerose famiglie italiane che, nonostante le rinunce ed i sacrifici, la visione per loro non cambia: il portafoglio continua a mostrarsi scarno.
            Difatti le famigliole che stazionano nei dintorni sono veramente poche. Sono in pratica circondata da nonni infaticabili che si prestano ad assecondare le velleità ludiche dei propri nipoti. Abbandonate l’immagine di mocciosi intenti nel costruire originali castelli di sabbia, muniti di secchielli, palette e formine di ogni genere. Nell’era high-tech i moderni sbarbatelli non rinunciano ad erigere fortini fai-da-te, anzi si affidano alla precisione architettonica ed ingegneristica dei propri tablet, kindle, i-pad e smartphone. Come potrebbero accusare la mancanza affettiva dei rispettivi genitori quando tali arnesi suppliscono ad una delle carenze più frequenti all’interno del nucleo familiare? Ovvero,  regalano attenzione . Persino le baby-sitter son divenute obsolete.

            Con una punta di rassegnazione, decido di spostare la mia attenzione su qualcosa di decisamente più divertente, ai limiti del comico. Da dietro i miei occhialoni neri osservo l’entrata in scena dell’ultimo esemplare maschile di "er mutanda". Oddio, che sia l’ultimo è una mia personalissima speranza: d’altronde, quel ridottissimo slip bianco, costipato su un ammasso di muscoli intervallati da dei “sobri” tattoos che farebbero impallidire persino il rapper 50 Cent, è un oltraggio al buon gusto. Ma a quanto pare non si pongono più limiti all’essere indecenti. E lo affermo con una punta di tristezza mentre constato gli sguardi adoranti delle donnine presenti, che ammirano esplicitamente le pose alla tammarreid che er mutanda  concede al suo pubblico.

Mi scappa una risata non appena nella mia mente si ricrea una scena vista qualche giorno fa, ma sulla mia spiaggia. Ovvero, quando un grosso gabbiano maschio, allo scopo di attirare la femmina,  iniziò a gonfiare il petto ed a girarle attorno, come nel più classico dei rituali di corteggiamento. Fu tutta fatica inutile, poiché prima che la femmina  si allontanasse, il maschio non riuscì a ricavare dalla stessa nient’altro che un’occhiata di sufficienza per lo show esibito. Dubito che a er mutanda venga riservato lo stesso trattamento a giudicare dalla proliferazione nei dintorni di alcune specie di oche giulive, regredite allo stadio maschile. Mi spiego meglio: sostanzialmente, si tratta della stessa sintomatologia che coglie l’uomo in presenza di una donna dalle vistose tette (e mi fermo qui). Si diventa dei perfetti ameba.
Alla luce di ciò, mi domando dove sia finito quel 63% di donne, intervistate da magazine di tutto rispetto, che ammette di preferire all’uomo narcisista l’intellettuale che non disdegna la lettura sotto l’ombrellone. Tale soggetto pare possedere un’innata dose di estrosità tanto da renderlo una vera mosca bianca, in grado di sorprendere ogni donna. Ok, deduco che avranno intervistato il campione femminile sotto l’effetto di qualche acido in via sperimentale, perché sono sprovvista di qualsiasi attenuante plausibile da poter loro addebitare.
            Di conseguenza, chiedo lumi in merito al tipo di estrosità  che dovrebbe avere il tizio accanto a me, immerso nella lettura della biografia di Del Piero. Dalla sua espressione concentrata mi vien da pensare che forse nel libro si svela finalmente il segreto di come riesca a comunicare con il suo uccellino! Beh, me lo auguro, almeno così evito di immaginarmelo come il nuovo San Francesco.

            Richiedo anche un rapporto dettagliato su che genere di fantasie potrebbe esser dotato il tizio, due ombrelloni più avanti, che divora con interesse smoderato l’ultimo libro di Benedetta la Secca Parodi.
            Sarà pur vero che l’estate è la stagione dell’eros, dove il risveglio dei bollenti spiriti non è certo dovuto alle alte temperature meteorologiche, ma il quadretto che ho sott’occhio è alquanto sconfortante, quasi quanto vedere una donna indossare quelle orribili crocs o veder spuntare sulle sue spalle quelle terrificanti bretelle in silicone trasparente.

            Il giorno volge al termine. E come accade in questi frangenti, mi lascio catturare dalla magia che un tramonto estivo è in grado di regalare: pennellate di colori sapientemente armonizzate che hanno il potere di rimetterti in pace con il mondo.
Osservo i pochi villeggianti rimasti: sui loro visi mi sembra di cogliere la stessa serenità che sento in fondo all’anima. In fondo, accada quel che accada, anche il sole del giorno peggiore tramonta.


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