5 gen 2015

Chocolat: il cibo degli Dei


Ciao, sono Alessia e non mangio cioccolato da tre mesi, due settimane, cinque ore e sedici minuti!”.
“Brava Alessia!!!”.
Con espressione compiaciuta, mi godo questo piccolo momento di vittoria personale, evidenziato da un affettuoso ed incoraggiante applauso dalla mia groupie di sostegno.... immaginaria. Va beh, qualcuno ha l’amico immaginario, io fantastico di avere una vera e propria groupie, che mi segue ovunque, dandomi supporto nei momenti difficili, e che, soprattutto, sa come coccolare la mia altalenante autostima. Pizzico d’invidia, eh?

Non allarmatevi. Sto bene, ed anche se non sembra, sono nel pieno delle mie facoltà cerebrali. Ho solo scoperto un modo alternativo su come sfruttare al meglio la mia spiccata fantasia, creando un diversivo: tutto pur di non assecondare questo ardente desiderio che da qualche tempo il mio inconscio cova senza sosta.
Sostanzialmente, sono invasa da una profonda crisi di astinenza da “theobroma cacao”, romanticamente definito “cibo degli dei” e comunemente noto come cioccolato.
Confesso la mia debolezza, qui, adesso e subito. Sono prossima a rientrare in quel 40% di donne occidentali affette da cioccolismo e per il quale, al momento, a parte una madornale dose di volontà nel saper dire NO, non esiste una cura scientificamente testata che possa eliminare il vizietto.
Inoltre, l’atmosfera natalizia e le temperature fredde del periodo sono estremamente deleterie per la mia vacillante resistenza: entrambe invitano, suggeriscono, tentano, inducono al consumo anche del più misero fra i cioccolatini. Difatti, uno dei motivi per cui ho sempre ammirato, amato ed atteso con trepidazione il Natale è proprio per la possibilità di lusingare me stessa, dapprima con gli occhi e poi con il palato, attraverso le molteplici varietà in cui il cacao viene esaltato, esibito e gustato. E' più che palese come l’ampia scelta, a disposizione di ciascun goloso, sia assolutamente maggiore rispetto a quella che si avrebbe durante le festività pasquali o addirittura per “la festa degli innamorati”.

Nero fondente, al latte finissimo, bianco mandorlato, impanato nelle nocciole, aromatizzato all’arancia e cannella, fuso al profumo di zenzero, vivace e stuzzicante al peperoncino....
Potrei continuare per giorni annotando ogni specialità a base di cioccolato e sono sicura che l’elenco difficilmente arriverebbe ad una fine. Non so a voi, ma il cioccolato è uno dei pochi dolci in grado di relazionarmi, attraverso un unico morso, con le cinque proprietà sensoriali, a cui si mescolano emozioni e sentimenti. A volte, avverto la sensazione che ogni mia papilla gustativa si organizzi in una strana danza propiziatoria al grido di “lunga vita al cioccolato!”, talmente coinvolgente da estendere la partecipazione ballerina ad ogni molecola, cellula o neurotrasmettitore del mio corpo.

Il cioccolato è felicità: sono sufficienti piccole dosi per sentirsi in paradiso, in quanto le sue straordinarie proprietà alimentari son capaci di stimolare alcune nostre sfere sensoriali in maniera del tutto inconscia. Non è un caso che la scienza abbia nutrito da sempre un grande interesse per gli effetti che il cacao ed i suoi derivati provocano sull’organismo umano.
Uno dei primi risultati a cui si giunse fu la scoperta del cioccolato come potente antidepressivo. Il suo consumo infatti favorisce la produzione di serotonina, comunemente noto come l’ormone del buonumore: ecco perché tendiamo a desiderarlo quando siamo giù di morale, quasi come se si trattasse di una questione di vita o di morte; ci rappacifica con il mondo esterno, offrendo momenti di tranquillità e felicità, inibendo eventuali stati di aggressività.
Tuttavia la serotonina non è l’unico ormone capace di regalare attimi di autentica beatitudine. In realtà il cioccolato contiene un’altra importante sostanza psicoattiva, efficace nell’innescare meccanismi da Peace&Love: la feniletilamina, ad esempio, conosciuta come l’ormone del piacere, è molto presente in quei soggetti dichiaratamente travolti dal nobile sentimento dell’Amore e scarsamente riconoscibile in tutti quegli individui, sulla cui testa, aleggia la nuvoletta nera di Fantozzi.

Gli effetti appena descritti sono stati spesso causa di affermazioni gonfiate ad arte: la motivazione va addebitata alla similitudine di tali effetti con quelli riconducibili all’uso di marijuana. Accostamenti pressoché azzardati, visto che la quantità di sostanze stimolanti, presenti nell’alimento, sono notevolmente differenti rispetto al vegetale.   E’ dunque assodato che una vera e propria dipendenza verrebbe a crearsi solo attraverso un consumo medio giornaliero di 25 chili di cioccolato. Un’esagerazione persino per chi, come me, sogna spudoratamente una vasca di cioccolato in cui immergersi.
Le cose migliori della vita o sono illegali, o immorali o fanno ingrassare!”. (Oscar Wilde) Ah, quanta verità c’è racchiusa in queste semplici parole!

Facendo un po’ d’ordine, si deduce che il cioccolato: a) possiede un’efficacia migliore rispetto ad una conta da ambaramacciccicocò tra lo Xanax ed il Prozac per sconfiggere eventuali stati ansiogeni e depressivi; b) regala talvolta soddisfazioni orgasmiche notevolmente maggiori rispetto a quelle non pervenute dal partner; ed infine c) gratifica e favorisce la concentrazione sul lavoro più di quanto possa fare una pacca sulla spalla da parte del proprio superiore.
Se ci s’affida alla saggezza di un vecchio proverbio, secondo il quale "non esiste rosa senza spine", allora occorre svelare il lato oscuro del cioccolato. A quanto pare, assecondare la tentazione di quadrotti, praline e boeri al cacao non equivale più al semplice peccato di gola, in quanto la richiesta di perdersi negli anfratti goduriosi di tale cibo partirebbe direttamente dal cervello. E’ quanto è emerso da una ricerca condotta dall’Università del Michigan, in base alla quale gli studiosi avrebbero isolato un’area cerebrale sino ad oggi insospettabile, capace di scatenare un’irrefrenabile voglia di consumare uno dei dolci più famosi al mondo. La zona cerebrale sott’accusa è il “neostriato”, noto finora esclusivamente come l’area indispensabile per la coordinazione dei movimenti. Non a caso nei malati di Parkinson è la prima regione ad esser definitivamente compromessa dal morbo. Ebbene, all’interno di tale struttura cerebrale, il consumo di cioccolato faciliterebbe il rilascio di un ormone, definito “encefalina”, ovvero una sostanza chimica appartenente all’ampia classe delle endorfine, le cui proprietà analgesiche ed eccitanti sono individuabili anche nella morfina e negli oppiacei.
Dopo questa breve parentesi in stile Medicina 33, il mio cervello ha elaborato queste informazioni scientifiche, giungendo all’unico risultato possibile, ovvero al francamente me ne infischio! In fondo lo studio si limita a spiegare una probabile dipendenza, la cui ragion d’essere sarebbe identificabile (come già esplicato in qualche riga su) solo mediante un consumo esageratamente smisurato di cioccolato, ma non fornisce alcuna controindicazione (per fortuna!) per ridurre gli effetti del cioccolismo.


Ad onor del vero, però, un deterrente per noi donne esisterebbe. Come riuscire a dimenticare la lievitazione naturale che un cioccolatino dall’aria apparentemente innocente crea sui nostri fianchi o sul giro vita? Ecco, questo sì che terrorizza! In proposito, posso assicurarvi che consumare del buon cioccolato fondente limita notevolmente i danni rispetto a quelli causati dalle altre varietà esistenti in commercio, perlopiù ricche di zuccheri, grassi aggiunti e coloranti. E poi, se proprio volete togliervi lo sfizio, sappiate che esistono mille metodi per eliminare, o meglio far tacere, i conseguenti sensi di colpa. Io preferisco seguire la tradizione: un letto, due corpi e.... tanta ginnastica!
Dopotutto, la vita è come il cioccolato: l’amaro fa apprezzare il dolce.

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