“Ciao,
sono Alessia e non mangio cioccolato da tre mesi, due settimane, cinque ore e
sedici minuti!”.
“Brava
Alessia!!!”.
Con
espressione compiaciuta, mi godo questo piccolo momento di vittoria personale,
evidenziato da un affettuoso ed incoraggiante applauso dalla mia groupie di sostegno.... immaginaria. Va beh, qualcuno ha l’amico
immaginario, io fantastico di avere una vera e propria groupie, che mi segue ovunque, dandomi supporto nei momenti
difficili, e che, soprattutto, sa come coccolare la mia altalenante autostima.
Pizzico d’invidia, eh?
Non allarmatevi. Sto bene, ed anche se non sembra, sono nel pieno delle mie
facoltà cerebrali. Ho solo scoperto un modo alternativo su come sfruttare al
meglio la mia spiccata fantasia, creando un diversivo: tutto pur di non
assecondare questo ardente desiderio che da qualche tempo il mio inconscio cova
senza sosta.
Sostanzialmente,
sono invasa da una profonda crisi di astinenza da “theobroma cacao”, romanticamente definito “cibo degli dei” e
comunemente noto come cioccolato.
Confesso
la mia debolezza, qui, adesso e subito. Sono prossima a rientrare in quel 40%
di donne occidentali affette da cioccolismo
e per il quale, al momento, a parte una madornale dose di volontà nel saper
dire NO, non esiste una cura
scientificamente testata che possa eliminare il vizietto.
Inoltre,
l’atmosfera natalizia e le temperature fredde del periodo sono estremamente
deleterie per la mia vacillante resistenza: entrambe invitano, suggeriscono, tentano, inducono al consumo anche del
più misero fra i cioccolatini. Difatti, uno dei motivi per cui ho sempre
ammirato, amato ed atteso con trepidazione il Natale è proprio per la
possibilità di lusingare me stessa, dapprima con gli occhi e poi con il palato,
attraverso le molteplici varietà in cui il cacao viene esaltato, esibito e
gustato. E' più che palese come l’ampia scelta, a disposizione di ciascun
goloso, sia assolutamente maggiore
rispetto a quella che si avrebbe durante le festività pasquali o addirittura
per “la festa degli innamorati”.
Nero
fondente, al latte finissimo, bianco mandorlato, impanato nelle nocciole,
aromatizzato all’arancia e cannella, fuso al profumo di zenzero, vivace e
stuzzicante al peperoncino....
Potrei continuare per giorni annotando ogni
specialità a base di cioccolato e sono sicura che l’elenco difficilmente
arriverebbe ad una fine. Non so a voi, ma il cioccolato è uno dei pochi dolci
in grado di relazionarmi, attraverso un unico morso, con le cinque proprietà
sensoriali, a cui si mescolano emozioni e sentimenti. A volte, avverto la
sensazione che ogni mia papilla gustativa si organizzi in una strana danza
propiziatoria al grido di “lunga vita al
cioccolato!”, talmente coinvolgente da estendere la partecipazione
ballerina ad ogni molecola, cellula o neurotrasmettitore del mio corpo.
Il cioccolato è felicità: sono
sufficienti piccole dosi per sentirsi in paradiso, in quanto le sue
straordinarie proprietà alimentari son capaci di stimolare alcune nostre sfere
sensoriali in maniera del tutto inconscia. Non è un caso che
la scienza abbia nutrito da sempre un grande interesse per gli effetti che il
cacao ed i suoi derivati provocano sull’organismo umano.
Uno dei primi
risultati a cui si giunse fu la scoperta del cioccolato come potente
antidepressivo. Il suo consumo infatti favorisce la produzione di serotonina,
comunemente noto come l’ormone del
buonumore: ecco perché tendiamo a desiderarlo quando siamo giù di morale,
quasi come se si trattasse di una questione di vita o di morte; ci rappacifica
con il mondo esterno, offrendo momenti di tranquillità e felicità, inibendo
eventuali stati di aggressività.
Tuttavia
la serotonina non è l’unico ormone capace di regalare attimi di autentica
beatitudine. In realtà il cioccolato contiene un’altra importante sostanza
psicoattiva, efficace nell’innescare meccanismi da Peace&Love: la feniletilamina, ad esempio, conosciuta come l’ormone del piacere, è molto presente in
quei soggetti dichiaratamente travolti dal nobile sentimento dell’Amore e scarsamente riconoscibile in
tutti quegli individui, sulla cui testa, aleggia la nuvoletta nera di Fantozzi.
Gli
effetti appena descritti sono stati spesso causa di affermazioni gonfiate ad
arte: la motivazione va addebitata alla similitudine di tali effetti con quelli
riconducibili all’uso di marijuana. Accostamenti pressoché azzardati, visto che
la quantità di sostanze stimolanti, presenti nell’alimento, sono notevolmente
differenti rispetto al vegetale. E’ dunque assodato che una vera e propria
dipendenza verrebbe a crearsi solo attraverso un consumo medio giornaliero di
25 chili di cioccolato. Un’esagerazione persino per chi, come me, sogna
spudoratamente una vasca di cioccolato in cui immergersi.
“Le cose migliori della vita o sono illegali, o immorali o fanno ingrassare!”. (Oscar Wilde) Ah,
quanta verità c’è racchiusa in queste semplici parole!
Facendo
un po’ d’ordine, si deduce che il cioccolato: a) possiede un’efficacia migliore rispetto ad una conta da ambaramacciccicocò tra lo Xanax ed il Prozac
per sconfiggere eventuali stati ansiogeni e depressivi; b) regala talvolta soddisfazioni orgasmiche notevolmente maggiori
rispetto a quelle non pervenute dal partner; ed infine c) gratifica e favorisce la concentrazione sul lavoro più di quanto
possa fare una pacca sulla spalla da parte del proprio superiore.
Se ci s’affida alla saggezza di un vecchio proverbio, secondo il quale "non
esiste rosa senza spine", allora occorre svelare il lato oscuro del cioccolato. A
quanto pare, assecondare la tentazione di quadrotti, praline e boeri al cacao
non equivale più al semplice peccato di gola, in quanto la richiesta di
perdersi negli anfratti goduriosi di tale cibo partirebbe direttamente dal
cervello. E’ quanto è emerso da una ricerca condotta dall’Università del
Michigan, in base alla quale gli studiosi avrebbero isolato un’area cerebrale
sino ad oggi insospettabile, capace di scatenare un’irrefrenabile voglia di
consumare uno dei dolci più famosi al mondo. La zona cerebrale sott’accusa è il
“neostriato”, noto finora esclusivamente come l’area indispensabile per la
coordinazione dei movimenti. Non a caso nei malati di Parkinson è la prima regione
ad esser definitivamente compromessa dal morbo. Ebbene, all’interno di tale
struttura cerebrale, il consumo di cioccolato faciliterebbe il rilascio di un
ormone, definito “encefalina”, ovvero una sostanza chimica appartenente
all’ampia classe delle endorfine, le cui proprietà analgesiche ed eccitanti
sono individuabili anche nella morfina e negli oppiacei.
Dopo
questa breve parentesi in stile Medicina
33, il mio cervello ha elaborato queste informazioni scientifiche,
giungendo all’unico risultato possibile, ovvero al francamente me ne infischio! In fondo lo studio si limita a
spiegare una probabile dipendenza, la cui ragion d’essere sarebbe
identificabile (come già esplicato in qualche riga su) solo mediante un consumo
esageratamente smisurato di cioccolato, ma non fornisce alcuna
controindicazione (per fortuna!) per
ridurre gli effetti del cioccolismo.
Ad onor
del vero, però, un deterrente per noi donne esisterebbe. Come riuscire a
dimenticare la lievitazione naturale che un cioccolatino dall’aria
apparentemente innocente crea sui nostri fianchi o sul giro vita? Ecco, questo sì che terrorizza! In proposito,
posso assicurarvi che consumare del buon cioccolato fondente limita
notevolmente i danni rispetto a quelli causati dalle altre varietà esistenti in
commercio, perlopiù ricche di zuccheri, grassi aggiunti e coloranti. E poi, se
proprio volete togliervi lo sfizio, sappiate che esistono mille metodi per
eliminare, o meglio far tacere, i conseguenti sensi di colpa. Io preferisco
seguire la tradizione: un letto, due corpi e.... tanta ginnastica!
Dopotutto, la vita è come
il cioccolato: l’amaro fa apprezzare il
dolce.
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