5 gen 2015

La Banalità del Male

“Ai miei tempi...”. Ho sempre avuto paura del momento in cui sarei arrivata, non solo a pensare a questo incipit, ma addirittura a pronunciarlo per poi completarlo con una frase di senso compiuto. Sapevo, e ne sono tuttora consapevole, che avrebbe segnato la mia fase di transizione dallo status di ragazza all’esser bollata come donna. E la conferma arriva ogniqualvolta che qualcuno, anagraficamente molto più giovane, si rivolge a me dandomi del lei  e regalandomi brividi di angoscia nell’affibbiarmi il titolo di "signora".


            Ultimamente, però, mi capita spesso di perdermi in quelle riflessioni, frutto di confronti generazionali e saggezza popolare, ascoltate e talvolta subite dai rispettivi nonni, genitori e zii; discorsi che, a noi giovani dell’epoca,  lasciavano un retrogusto amaro ed alquanto datato. Pertanto, a memoria di ciò, quando in me nasce l’impulso di esprimere determinate considerazioni, scelgo di farlo con persone affini alla mia generazione. Sì, lo so: anche questo fa molto vecchia signora!

            Ma perdindirindina...! Vi siete mai soffermati qualche minuto in più ad osservare, o meglio ancora a dialogare, con gli adolescenti di oggi?! Qualcuno sarà anche un privilegiato, nel senso che tra voi sarà di certo presente più di un genitore-combattente che quotidianamente si confronta e si scontra con quell’alieno, noto come "figlio adolescente".
            Lo sappiamo. Ci siam passati tutti: in fondo, l’adolescenza è il periodo più difficile e più complicato che un ragazzo o ragazza attraversa durante la fase di crescita. Alcuni riescono a superarlo completamente indenni; altri esibiscono le cicatrici come trofei di guerra; molti altri ancora restano intrappolati in quel meccanismo infernale, mostrando un evidente squilibrio fra sviluppo fisico e crescita emozionale.
            Non esiste un’epoca in cui la società, nel suo complesso, non sollevi dubbi, interrogativi o perplessità sulla cosiddetta "generazione X" . Il senso di fragilità si contrappone alla voglia di libertà e spesso diventa alquanto arduo cercar di decifrare, o quantomeno distinguere, i segnali di aiuto da quelli di una ricerca di responsabilità. Dell’attuale gioventù (oddio, mi sento terribilmente retrò!) ciò che preoccupa è quest’apatia mentale, quest’assenza di interessi, sogni ed ambizioni, che caratterizza le loro vite e che in molte circostanze li conduce verso percorsi senza ritorno.

            La noia è il grande nemico da sconfiggere: un roditore che progressivamente li priva di stimoli al punto di rifiutare ogni forma di socializzazione attiva, quella fatta di pomeriggi all’aria aperta, di passeggiate nelle strade di città o di raduni nella piazzetta del paese, a favore di una socializzazione passiva, quella virtuale, per intenderci, dove spesso i limiti e le costrizioni si annullano, i valori morali vengono barattati con quelli più materiali e lo sviluppo formativo si realizza a suon di tag, tweet e whatsappate di gruppo.
            Il quadro che ne esce fuori non è dei più confortanti ed a confermarlo sono i recenti fatti di cronaca che purtroppo pongono in evidenza come la noia o l’insofferenza, piuttosto visibili, siano in grado di far emergere il peggio dei giovani d’oggi.
Il disagio sociale non investe più esclusivamente i nuclei familiari con minori indigenti, ma ricade soprattutto sui ben noti "ragazzi per bene", figli liceali di una borghesia altrettanto vanesia, che consumano alcool e droga al posto di pane ed acqua, che sperimentano il sesso in età precoce e che, per diletto e per uno strano senso del divertimento, giocano al tiro al bersaglio su prostitute, viados e barboni. E così, nell’era dell’esibizionismo di massa e della digitalizzazione sfrenata, qualunque porcheria viene postata in rete, tanto  da trasformare il canale Youtube in un luogo di culto e di emulazione per le nuove generazioni.

            Ci si ritrova dunque a dover fare i conti con un fallimento sociale dilagante: ricopriamo con disinvoltura a seconda delle situazioni il doppio ruolo di vittime e carnefici, esecutori e mandanti di una morte pressoché annunciata, quella dell’educazione. La famiglia, la scuola, la società hanno fondamentalmente bypassato alcuni dei loro principali compiti, tra cui, fornire una serie di contenuti, creare delle basi per la formazione di coscienze sociali e mantenere gli equilibri umani il più possibile stabili. Nulla di tutto ciò è stato fatto, con il risultato finale di aver impedito ai giovani la costruzione di un futuro personale, con la conseguenza più immediata di non aver insegnato loro a lottare per esso, a nuotare controcorrente piuttosto che a lasciarsi trascinare dal fiume dell’inerzia.
E’ questo l’errore più grave che ognuno di noi porta sulle proprie spalle come un marchio indelebile. La mancanza di una prospettiva futuristica, l’adozione di un cinismo che rasenta la malvagità e l’incapacità di poter sognare rappresentano vergognosamente l’eredità che gli adulti di oggi hanno trasmesso ai giovani di domani.

La banalità del male, così com’è stata definita la noia giovanile, è tipica di quegli adolescenti o giovani adulti che sono circondati da quell’aurea di materialità che la realtà moderna è in grado di produrre; sono etichettati come "fighetti" e come tali si nutrono e respirano l’ammirazione e l’invidia dei loro coetanei; sono gli stessi individui che si spingono alla ricerca di emozioni forti, perché bramano status e modelli sociali evanescenti e sono del tutto ignari del prezzo elevato che dovranno pagare. Metaforicamente, li si potrebbe paragonare a tanti piccoli ed insaziabili Faust che, pur di godere dei piaceri del mondo, banchettano la propria anima con il Mefistofele di turno. Però, rispetto all’opera di Goethe, affiora una differenza non da poco: per essi, alla fine del lungo peregrinare, non è prevista alcun tipo di redenzione eterna.

L’inadeguatezza nel non saper sfruttare tempestivamente la capacità di dialogo ed il rispetto delle regole si pone come lo scoglio contro cui la società, nello specifico la famiglia e la scuola, si è frantumata al grido di “mors tua vita mea”, dando origine così ad una frenesia perpetua del “tutto e subito” a scapito di un raggiungimento per obiettivi, ottenuto gradualmente attraverso impegno e sacrificio.
            Numerosi studi antropologici, realizzati sia dalla comunità scientifica nazionale che internazionale, hanno messo in luce l’esistenza di complessi scenari giovanili, in cui le esperienze e gli stili di vita tendono ad assomigliarsi pericolosamente gli uni con gli altri. Sconvolge e terrorizza, ad esempio, scoprire come il consumo di bevande alcoliche abbia raggiunto livelli preoccupanti, in particolare nelle fasce adolescenziali di tutto il mondo. A volte si arranca, non senza qualche difficoltà, alla ricerca di motivazioni che possano perlomeno spiegare il perché di questa dannosa abitudine. E gli interrogativi non cessano, specie quando si apprende che, dietro a tutto ciò, esiste solo un bisogno primordiale di appartenenza al gruppo. E’ un istinto che spinge i ragazzi a distruggere il profondo senso di insicurezza ed inadeguatezza tipico dell’adolescenza. E’ la necessità di colmare dei vuoti interiori. Un tempo predominano le griffe come elementi di differenziazione tra un gruppo e l’altro. Ora, i totem da conquistare sono di tutt’altro tipo e a nessuno importa delle conseguenze.
            “Il sesso lo si fa per moda, perché lo fanno tutti, per noia...”. Una dichiarazione che susciterebbe battutine da caserma se a pronunciarla fosse stata una tardona come me. E se invece l’autrice o l’autore di quest’affermazione fosse una/un qualsiasi tredicenne, magari proprio vostro/a figlio/a? Beh, credo che ci sarebbe ben poco dall’essere allegri.
            Lo reputano “fenomeno di costume”, ma io ravvedo in esso solo un’abissale tristezza per quei ragazzi che, così troppo abituati a bruciare prematuramente le tappe della vita, perdono di vista se stessi ed il senso di quel viaggio personale che consentirebbe loro di crescere ed arricchire il loro bagaglio emozionale. Arrivano pertanto a consumare l’atto sessuale in maniera meccanica e senza alcuna traccia di sentimento. Inutile sottolineare come la promiscuità di tali rapporti conduca inevitabilmente ad una perenne insoddisfazione, in quanto le emozioni provate prima del tempo non saranno più sufficienti e ci si spingerà oltre ogni limite. E’ il caso delle baby squillo, più di sette mila casi accertati, ma si stima che tale numero rappresenti solo la punta di un iceberg. “Una sicurezza ostentata a fatica ma che cela in verità dubbi e timori”: è il tratto distintivo di queste piccole donne che per noia, soldi o solo per evitare di star sole con i loro pensieri vendono il corpo per una borsa, un paio di scarpe firmate o addirittura per una ricarica di cellulare.

            Per quanto tempo ancora resteremo inerti ad assistere a questa mercificazione costante dei rapporti umani? Per quanto tempo ancora lasceremo che la conoscenza su cosa sia bene e cosa sia male continui ad esser perpetrata sulla pelle di questi ragazzi? Lo chiedo a chi è genitore, a chi ha scelto di avere delle responsabilità, a chi forse si sente impotente contro questo marasma, a chi probabilmente ha scordato cosa vuol dire essere giovane e sottovaluta quanto sia complicato esserlo adesso, in questo preciso momento storico.
            Eppure basterebbe poco. Ascoltare i loro piccoli drammi esistenziali, sarebbe un buon inizio. Così come rafforzare i legami umani ed imparare ad allontanare da essi la sensazione di isolamento. Sarebbe opportuno smettere di provar paura nell’imporre loro delle regole da seguire. Dovremo infine regalar loro una bussola con cui sappiano trovare la propria identità personale.
            Diamo un senso alle loro giovani ed acerbe esistenze. Magari alla banalità del male finalmente si contrapporrà un’eccezionalità del bene.

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