“Ai miei tempi...”. Ho sempre avuto paura del momento in cui sarei
arrivata, non solo a pensare a questo incipit, ma addirittura a pronunciarlo
per poi completarlo con una frase di senso compiuto. Sapevo, e ne sono tuttora
consapevole, che avrebbe segnato la mia fase di transizione dallo status di ragazza all’esser bollata come donna. E la conferma arriva
ogniqualvolta che qualcuno, anagraficamente molto
più giovane, si rivolge a me dandomi del lei
e regalandomi brividi di angoscia
nell’affibbiarmi il titolo di "signora".
Ultimamente, però, mi capita spesso di perdermi in quelle
riflessioni, frutto di confronti generazionali e saggezza popolare, ascoltate e
talvolta subite dai rispettivi nonni, genitori e zii; discorsi che, a noi giovani dell’epoca, lasciavano un retrogusto amaro ed alquanto
datato. Pertanto, a memoria di ciò, quando in me nasce l’impulso di esprimere
determinate considerazioni, scelgo di farlo con persone affini alla mia
generazione. Sì, lo so: anche questo fa molto vecchia signora!
Ma perdindirindina...! Vi siete mai soffermati qualche minuto in più
ad osservare, o meglio ancora a dialogare, con gli adolescenti di oggi?!
Qualcuno sarà anche un privilegiato, nel senso che tra voi sarà di certo presente
più di un genitore-combattente che quotidianamente si confronta e si scontra
con quell’alieno, noto come "figlio
adolescente".
Lo sappiamo. Ci siam passati tutti: in fondo, l’adolescenza è il periodo più difficile e più
complicato che un ragazzo o ragazza attraversa durante la fase di crescita.
Alcuni riescono a superarlo completamente indenni; altri esibiscono le
cicatrici come trofei di guerra; molti altri ancora restano intrappolati in
quel meccanismo infernale, mostrando un evidente squilibrio fra sviluppo fisico
e crescita emozionale.
Non esiste un’epoca in cui la società, nel suo complesso,
non sollevi dubbi, interrogativi o perplessità sulla cosiddetta "generazione X" . Il senso di fragilità si
contrappone alla voglia di libertà e spesso diventa alquanto arduo cercar di
decifrare, o quantomeno distinguere, i segnali di aiuto da quelli di una
ricerca di responsabilità. Dell’attuale gioventù (oddio, mi sento terribilmente retrò!) ciò che preoccupa è
quest’apatia mentale, quest’assenza di interessi, sogni ed ambizioni, che caratterizza
le loro vite e che in molte circostanze li conduce verso percorsi senza
ritorno.
La noia è il
grande nemico da sconfiggere: un roditore che progressivamente li priva di
stimoli al punto di rifiutare ogni forma di socializzazione attiva, quella
fatta di pomeriggi all’aria aperta, di passeggiate nelle strade di città o di
raduni nella piazzetta del paese, a favore di una socializzazione passiva,
quella virtuale, per intenderci, dove spesso i limiti e le costrizioni si
annullano, i valori morali vengono barattati con quelli più materiali e lo
sviluppo formativo si realizza a suon di tag,
tweet e whatsappate di gruppo.
Il quadro che ne esce fuori non è dei più confortanti ed
a confermarlo sono i recenti fatti di cronaca che purtroppo pongono in evidenza
come la noia o l’insofferenza, piuttosto visibili, siano in grado di far
emergere il peggio dei giovani d’oggi.
Il disagio sociale non investe più
esclusivamente i nuclei familiari con minori indigenti, ma ricade soprattutto
sui ben noti "ragazzi per bene", figli
liceali di una borghesia altrettanto vanesia, che consumano alcool e droga al
posto di pane ed acqua, che sperimentano il sesso in età precoce e che, per
diletto e per uno strano senso del divertimento, giocano al tiro al bersaglio
su prostitute, viados e barboni. E così, nell’era dell’esibizionismo di massa e
della digitalizzazione sfrenata, qualunque porcheria viene postata in rete,
tanto da trasformare il canale Youtube in un luogo di culto e di
emulazione per le nuove generazioni.
Ci si ritrova dunque a dover fare i conti con un
fallimento sociale dilagante: ricopriamo con disinvoltura a seconda delle
situazioni il doppio ruolo di vittime e carnefici, esecutori e mandanti di una
morte pressoché annunciata, quella dell’educazione.
La famiglia, la scuola, la società hanno fondamentalmente bypassato alcuni dei
loro principali compiti, tra cui, fornire una serie di contenuti, creare delle
basi per la formazione di coscienze sociali e mantenere gli equilibri umani il
più possibile stabili. Nulla di tutto ciò è stato fatto, con il risultato
finale di aver impedito ai giovani la costruzione di un futuro personale, con
la conseguenza più immediata di non aver insegnato loro a lottare per esso, a
nuotare controcorrente piuttosto che a lasciarsi trascinare dal fiume dell’inerzia.
E’ questo l’errore più grave che ognuno di noi porta sulle proprie spalle come
un marchio indelebile. La mancanza di una prospettiva futuristica, l’adozione
di un cinismo che rasenta la malvagità e l’incapacità di poter sognare
rappresentano vergognosamente l’eredità che gli adulti di oggi hanno trasmesso ai
giovani di domani.
La banalità del male, così
com’è stata definita la noia giovanile, è tipica di quegli adolescenti o
giovani adulti che sono circondati da quell’aurea di materialità che la realtà moderna
è in grado di produrre; sono etichettati come "fighetti" e come tali si nutrono e respirano l’ammirazione e
l’invidia dei loro coetanei; sono gli stessi individui che si spingono alla
ricerca di emozioni forti, perché bramano status e modelli sociali evanescenti
e sono del tutto ignari del prezzo elevato che dovranno pagare.
Metaforicamente, li si potrebbe paragonare a tanti piccoli ed insaziabili Faust che, pur di godere dei piaceri del
mondo, banchettano la propria anima con il Mefistofele di turno. Però, rispetto
all’opera di Goethe, affiora una differenza
non da poco: per essi, alla fine del lungo peregrinare, non è prevista alcun tipo
di redenzione eterna.
L’inadeguatezza
nel non saper sfruttare tempestivamente la capacità di dialogo ed il rispetto
delle regole si pone come lo scoglio contro cui la società, nello specifico la
famiglia e la scuola, si è frantumata al grido di “mors tua vita mea”, dando origine così ad una frenesia perpetua del
“tutto e subito” a scapito di un raggiungimento per obiettivi, ottenuto
gradualmente attraverso impegno e sacrificio.
Numerosi studi antropologici, realizzati sia dalla
comunità scientifica nazionale che internazionale, hanno messo in luce
l’esistenza di complessi scenari giovanili, in cui le esperienze e gli stili di
vita tendono ad assomigliarsi pericolosamente gli uni con gli altri. Sconvolge
e terrorizza, ad esempio, scoprire come il consumo di bevande alcoliche abbia
raggiunto livelli preoccupanti, in particolare nelle fasce adolescenziali di
tutto il mondo. A volte si arranca, non senza qualche difficoltà, alla ricerca
di motivazioni che possano perlomeno spiegare il perché di questa dannosa
abitudine. E gli interrogativi non cessano, specie quando si apprende che, dietro
a tutto ciò, esiste solo un bisogno primordiale di appartenenza al gruppo. E’ un istinto che spinge i ragazzi a
distruggere il profondo senso di insicurezza ed inadeguatezza tipico
dell’adolescenza. E’ la necessità di colmare dei vuoti interiori. Un tempo
predominano le griffe come elementi di differenziazione tra un gruppo e
l’altro. Ora, i totem da conquistare
sono di tutt’altro tipo e a nessuno importa delle conseguenze.
“Il sesso lo si fa per moda, perché lo fanno tutti,
per noia...”. Una dichiarazione che susciterebbe battutine da caserma se a
pronunciarla fosse stata una tardona
come me. E se invece l’autrice o l’autore di quest’affermazione fosse una/un
qualsiasi tredicenne, magari proprio vostro/a figlio/a? Beh, credo che ci
sarebbe ben poco dall’essere allegri.
Lo reputano “fenomeno di costume”, ma io ravvedo in esso solo
un’abissale tristezza per quei ragazzi che, così troppo abituati a bruciare prematuramente
le tappe della vita, perdono di vista se stessi ed il senso di quel viaggio personale
che consentirebbe loro di crescere ed arricchire il loro bagaglio emozionale.
Arrivano pertanto a consumare l’atto sessuale in maniera meccanica e senza
alcuna traccia di sentimento. Inutile sottolineare come la promiscuità di tali
rapporti conduca inevitabilmente ad una perenne insoddisfazione, in quanto le
emozioni provate prima del tempo non saranno più sufficienti e ci si spingerà
oltre ogni limite. E’ il caso delle baby
squillo, più di sette mila casi accertati, ma si stima che tale numero
rappresenti solo la punta di un iceberg. “Una sicurezza ostentata a fatica ma
che cela in verità dubbi e timori”: è il tratto distintivo di queste piccole donne che per noia, soldi o solo
per evitare di star sole con i loro pensieri vendono il corpo per una borsa, un
paio di scarpe firmate o addirittura per una ricarica di cellulare.
Per quanto tempo ancora resteremo inerti ad assistere a
questa mercificazione costante dei rapporti umani? Per quanto tempo ancora lasceremo
che la conoscenza su cosa sia bene e cosa sia male continui ad esser perpetrata
sulla pelle di questi ragazzi? Lo chiedo a chi è genitore, a chi ha scelto di avere delle responsabilità, a
chi forse si sente impotente contro questo marasma, a chi probabilmente ha
scordato cosa vuol dire essere giovane
e sottovaluta quanto sia complicato esserlo adesso,
in questo preciso momento storico.
Eppure basterebbe poco. Ascoltare i loro piccoli drammi esistenziali, sarebbe un buon
inizio. Così come rafforzare i legami umani ed imparare ad allontanare da essi
la sensazione di isolamento. Sarebbe opportuno smettere di provar paura
nell’imporre loro delle regole da seguire. Dovremo infine regalar loro una
bussola con cui sappiano trovare la propria identità personale.
Diamo un senso alle loro giovani ed acerbe esistenze.
Magari alla banalità del male finalmente si contrapporrà un’eccezionalità del bene.
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