Ogni anno, a cavallo tra la
stagione autunnale e quella invernale, per un paio di mesi circa, mi ritrovo
come dirimpettai una piccola comunità di giostrai, proprietari di un Luna Park
dalle modeste dimensioni. Mi capita spesso in quel periodo di sbirciare oltre
il vetro della mia finestra e venir catturata dalla girandola di luci colorate
che illumina festosamente l’intero quartiere. Osservo quelle strane ombre
allungarsi sui palazzi circostanti e danzare sulle note ritmate di una
variopinta playlist.
Ammetto che all’inizio ho rischiato un principio d’ulcera,
ascoltando dei mix musicali talmente improbabili da far sospettare l’esistenza
di un deejay completamente abbandonato a sé stesso, con molta probabilità improvvisato
e privo del benché minimo orecchio musicale. Le sue divagazioni
sonore, più simili a dei trip allucinogeni, erravano tra le onnipresenti tagliatelle di nonna Pina, alla
tarantolata coreana del Gam gam Style, sino
a toccare i quattro della Santa Maria:
Scanu-Marrone-Amoroso-Carta.
Ho combattuto duramente contro l’inquietante
tentazione di andar lì e porre fine alla sua carriera, ma fortunatamente ho
lasciato che il tempo anestetizzasse le mie intemperanze, facendo germogliare in me il seme della pazienza..... Forse!
Tuttavia, quest’anno oltre al consueto Luna Park, che nel
frattempo da modeste dimensioni è passato a ridotte dimensioni e non si comprende
bene se il cambiamento sia dovuto alla presenza dei nuovi vicini o alla crisi
economica, l’oculata amministrazione
locale ha pensato bene di affiancarci per l’appunto il circo.
Ora, escludendo la mia naturale idiosincrasia per
questo tipo di manifestazioni e non volendo urtare la sensibilità circense,
confesso di aver osservato quell’ingombrante tendone e tutto il piccolo mondo
che ruota attorno ad esso con obiettività, allontanando da me ogni eventuale
faziosità. Amici miei, è stato un enorme sacrificio. Per nulla semplice, specie
quando, con mia grande sorpresa, ho scoperto che si trattava di uno dei pochi
circhi nazionali, ancora in circolazione, che si diletta a lucrare sulla
spettacolarizzazione dell’animale ridotto in schiavitù.
Prima di incorrere in qualche equivoco, preciso di non
essere una di quelle animaliste attive ed agguerrite che scavalcano cancelli o
sfondano le porte degli istituti di ricerca scientifica allo scopo di liberare
sorci, criceti e cagnetti di razza; né tantomeno una di quelle che lancia uova
o salsa di pomodoro sulle sciurette
borghesemente impellicciate, poiché ho sempre nutrito un profondo rispetto per
il cibo e per l’uso che se ne fa. Premesso ciò, ammetto di amare molto gli
animali, di averli sempre adorati ma anche rispettati, risparmiando alle povere
bestiole tutti quei penosi trattamenti che al giorno d’oggi molti umani
infliggono loro. Al riguardo, non ho mai sopportato quelle esasperazioni al
limite della schizofrenia che comportano tormenti e mortificazioni al povero animale:
un esempio su tutti, il dover indossare contro la sua natura cappottini
griffati, collarini tempestati di pietre preziose, coprizampine a mo’ di
stivale in gomma antipioggia ed antigelo dalle nuance rigorosamente trendy.
Inoltre, vengo pervasa da un istinto omicida, che fortunatamente tengo a bada,
tutte le volte che sento un essere umano definire il proprio essere animale
come il "mio bambino" o la "mia piccolina", o addirittura paragonarli a dei figli veri. E l’acidità ed il disgusto
si moltiplicano quando scopro che tali amorevoli
genitori sono gli stessi che si dimenticano la propria prole (quella reale) in un’auto sotto il sole cocente
o di prelevarla all’uscita di scuola. Nessuna amnesia, invece, se si tratta di elencare
con precisione tutte le vaccinazioni effettuate all’animale. Mah! Per me, un
cane, un gatto, un pappagallo sono sempre un cane, un gatto ed un pappagallo e
come tali andrebbero trattati.
Scavando
nei meandri della mia infanzia, ricordo che la prima volta che oltrepassai quel
tendone soffocante provai un inspiegabile senso di tristezza e di vivida angoscia;
stati d’animo alquanto insoliti in una bambina di sei anni che aspettava con
curiosità impaziente di vivere l’esperienza circense. Successivamente, crescendo, capii perché uno scimpanzé con il tutù,
un elefante agghindato di piume o un cavallo in posizione bipede non mi suscitarono
alcuna forma di divertimento. In quella circostanza gli unici brividi di cui ho
memoria sulla pelle non furono né di gioia e né di allegria, ma più simili a
quelli di orrore, umiliazione e disagio. Inutile sottolineare che non misi più
piede in un circo e che quando li vedo in televisione li scanso peggio di una
puntata di Tribuna elettorale.
Ingenuamente
ritenevo (sino ad oggi) che i circhi con animali fossero una realtà in declino,
appartenenti ormai ad un passato lontano, soprattutto dopo la valanga di
polemiche che seguirono ai numerosi blitz degli animalisti, in cui fu mostrata
al mondo intero l’esistenza di soprusi e vessazioni verso i poveri animali ad
opera dei presunti addestratori.
E’
opportuno, tuttavia, non creare da un filo d’erba un fascio. Le
generalizzazioni non mi son mai particolarmente piaciute. Se da un lato, le
testimonianze ed i casi accertati di crudeltà verso gli animali non comprendono
la totalità degli spettacoli itineranti, dall’altro lato, è anche vero che
includono una buona fetta di essi, dove nel corso dei secoli alcune delle
peggiori pratiche di tortura su animali son divenute dei veri e propri
protocolli di addestramento.
Prima
ancora della ricezione e della successiva adozione di una serie di leggi e
regolamenti internazionali, volti a disciplinare le controversie tra brutalità
consolidata ed antica tradizione circense, molti di questi intrattenimenti
artistici venivano perlopiù utilizzati come copertura per il commercio
clandestino di esemplari fauneschi in via di estinzione. Una vera barbaria perpetuata
per un tempo indefinito ed alla quale finalmente si vuol porre fine attraverso
un’informazione contemporanea e più accurata sulle reali condizioni degli
animali detenuti, proponendo pertanto un ritorno alla prima forma di arte
circense, contraddistinta da acrobati, pagliacci, saltimbanchi, prestigiatori e
mimi. Paride Orfei, ad esempio, è stato uno dei grandi promotori nel rilanciare
ed onorare il cosiddetto circo ecologico,
ristabilendo così una sorta di equilibrio tra uomo e natura. Con un cognome
così strettamente legato ad una lunga tradizione familiare si può ben
immaginare la qualità di spettacolo che viene garantito al pubblico pagante.
Ecco,
il circo ecologico potrebbe
simboleggiare il mio calumet della pace: potrei persino progettare di
accompagnare la mia nipotina ad assistere ad una di queste manifestazioni ed
evitarle così di trasmettere un messaggio distorto, come invece avverrebbe nel
101% dei casi qualora si trattasse di rappresentazioni con animali.
Per
anni si è sempre sostenuto che il circo sia il più grande spettacolo ideato
per le famiglie. Contestualmente però s’ignorava la visione erronea che si
andava instaurando sul rapporto uomo-animale, fornita ai bambini che
partecipavano allo show. Una visione dai contenuti scarsamente pedagogici e
culturali, capace di alterare notevolmente la sensibilità infantile di fronte
ad un totale asservimento coercitivo dell’animale nei confronti
dell’uomo-padrone. Il bambino rischia in tal modo di perdere la sua
compassione, la sua empatia: ovvero, gli unici sentimenti in grado di prevenire
ed eventualmente eliminare ogni forma di dolore, sofferenza e violenza tra
esseri umani ed esseri animali.
Un
Paese moderno e civilizzato non dovrebbe restar indifferente dinnanzi ad un
elefante in evidente stato di denutrizione o di fronte agli occhi tristi e
velati di uno scimpanzé. Un Paese con una lungimirante classe politica non
crede assolutamente alla balla che gli animali vengano addestrati con amore e pazienza,
perché sa benissimo che l’istinto primordiale non muore mai e che può rendere
pericoloso anche un innocuo moscerino. Un Paese che promuove arte e cultura
s’impegna ad allontanare la concezione che l’animale da circo sia solo ed
esclusivamente un giocattolo vivente, privo di qualsiasi forma di libertà e
dignità. Un Paese che predispone una serie di misure a difesa degli spazi
naturali tra ciascun esser vivente ritiene inaccettabile il principio primitivo
secondo cui l’animale che non asseconda l’uomo deve morire.
Beh, a questo punto, urge
in me la necessità di conoscere le coordinate di un Paese così
meravigliosamente all’avanguardia. Se qualcuno di voi può fornirmi le
coordinate gliene sarei eternamente riconoscente, perché quello in cui vivo
attualmente mi sembra la caricatura dei peggiori luoghi comuni sinora
raccontati.
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